Vendere gli NPL è difficile?

Il jolly nel cassetto: agli investitori stranieri le case e le aziende debitori

Prosegue la frenetica produzione normativa diretta ad aiutare i fondi di investimento e le società di cartolarizzazione (per lo più di matrice estera) a recuperare crediti deteriorati, i famosi NPL (non performing loans), di cui si parla ogni giorno.

Il legislatore nazionale, premuto dalle statistiche internazionali che fotografano l’incapacità strutturale del sistema giudiziario nel gestire con efficacia ed efficienza le procedure esecutive e dalle esigenze del ceto bancario di liberarsi dei crediti deteriorati, senza svenderli, prosegue nella metodica demolizione di capisaldi tradizionali dell’ordinamento giuridico, fino a pochi anni fa intoccabili.

D’altronde non è una boutade osservare che l’architettura delle procedure esecutive italiane, prima tra tutte quella immobiliare, per il formalismo e l’impianto processuale – costituito da ben quattro step (tecnicamente segmenti, ovvero, il pignoramento sino all’istanza di vendita – 1⁰, la stima del bene sino all’ordinanza di vendita – 2⁰, la vendita vera e propria – 3⁰ e la distribuzione del ricavato – 4⁰) – è sempre stata molto amica del debitore.

Situazione del tutto incomprensibile per gli investitori esteri abituati al recupero del credito con il minimo delle garanzie per il debitore: meglio allora cercare soluzioni al di fuori di esse [1]: l’ultimo intervento in ordine di tempo lo troviamo nella legge di conversione del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, la legge 21 giugno 2017, n. 96, che, oltre ad occuparsi delle zone terremotate e degli enti territoriali, novella la legge 30 aprile 1999, n. 130 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti), facilitando la cartolarizzazione dei crediti deteriorati e la cessione degli NPL ai fondi comuni di investimento.

Il nuovo art. 7.1. (inserito dall’art. 60-sexies, comma 1, lett. b), d.l. 50/2017) trasforma sostanzialmente le società di cartolarizzazione cessionarie degli NPL in banche di secondo livello, autorizzandole a concedere finanziamenti ai debitori, naturalmente al lodevole scopo di agevolare il recupero dei crediti acquistati e, non sia mai, del ritorno in bonis del debitore (commi 2 e 3).

Ma non basta. Le società di cartolarizzazione, nell’ambito delle procedure di accordo e concordato previste dalla legge fallimentare, potranno diventare proprietarie delle imprese debitrici, convertendo i crediti (acquistati) della banca cedente in partecipazioni – azioni, quote o altro strumenti partecipativi – con un ulteriore beneficio e cioè quello di assimilare le somme provenienti dagli strumenti partecipativi in pagamenti effettuati dai debitori ceduti, una sorta di ircocervo fatto da una datio in solutum mista alla compensazione legale del tutto nuova per il nostro ordinamento (comma 3).

Ed infine, come dicevano gli antichi, in cauda venenum:

per il comma 4 dell’art. 7.1. i fondi e società di cartolarizzazione potranno costituire società per acquistare e valorizzare i beni, immobili e mobili registrati, che garantiscono i crediti acquistati ed imputare i ricavi di gestione – con il meccanismo già visto di datio in solutum/compensazione legale – come fossero pagamenti del debitore ceduto.

Qui pare proprio che il legislatore voglia demolire l’ultima barriera posta a tutela del debitore e cioè quel divieto del patto commissorio, ancora previsto dai malandati artt. 2744 e 1963 c.c., che da secoli risponde all’esigenza di impedire l’indebito vantaggio del creditore che, altrimenti, potrebbe vendere il bene del debitore traendone un vantaggio superiore al proprio credito.

Né la previsione dell’art. 7.1. richiama il c.d. patto marciano, antico istituto che recentemente gode di una seconda giovinezza [2], patto che, pur consentendo al creditore la vendita dell’immobile ipotecato, tutela comunque il debitore, delegando ad un terzo indipendente la stima del valore del bene e obbligando il creditore a retrocedere al debitore le somme eccedenti il suo credito ricavate dalla vendita.

Insomma per recuperare gli NPL, anzi per tenere alto il prezzo di vendita e così aiutare le banche cedenti, svincolandole dall’obbligo di ripatrimonializzarsi, tutto è permesso, anche mandare definitivamente in soffitta l’ormai decrepito divieto del patto commissorio.

Milano, 10 luglio 2017
Avv. Antonio Donvito

[1] Nel triennio 2014 – 2016, con i DD.LL. 132/2014 (con. in L. 162/2014), 83/2015 (conv. in L. 132/2015) e 59/2016 (conv. in L. 119/2016) il legislatore è intervenuto “a macchia di leopardo” sulle procedure esecutive, novellandole in ogni parte, dalla dimidiazione dei termini a carico dei creditori, all’abrogazione sostanziale della vendita con incanto, dalla ricerca telematica dei beni pignorabili alla riforma dell’assegnazione, per citarne alcuni: sull’argomento v. il trittico di TEDOLDI sul Corr. giur., 2015, 390; id., 2016, 153 e 1329)

[2] Recenti esempi della rinnovata fortuna del patto marciano, sono l’art. 11-quaterdecies, commi da 12 a 12-quater, Legge 2 dicembre 2005, n. 24 sul prestito vitalizio ipotecario; l’art. 120-quinquiesdecies, co. 3, TUB (testo unico bancario), introdotto dal D. Lgs. 72/2016 sul credito immobiliare ai consumatori e l’art. 48-bis, TUB, sul finanziamento alle imprese garantito dal trasferimento di un immobile sospensivamente condizionato.

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