Outsourcing di attività bancaria

(Antonio Donvito)

1. Introduzione

2. Oggetto e inquadramento giuridico

3. Outsourcing in banca

4. Principi per l’outsourcing di funzioni (la banca outsourcee)

5. Principi per l’outsourcing di funzioni (il fornitore outsourcer)

6. Il fornitore- call center e i servizi di pagamento

7. Comunicazioni alla Banca d’Italia

8. Appendice gius-lavoristica

9. Contrattazione collettiva applicabile

10. Iquadramento previdenziale

  1. INTRODUZIONE

Il termine italiano “esternalizzazione” corrisponde all’inglese outsourcing: con esso si indica una particolare tecnica di organizzazione aziendale, che, a partire dagli anni ottanta, è stata gradualmente impiegata dalle imprese italiane. In generale, l’outsourcing può definirsi una pratica in base alla quale un’impresa detta committente o outsourcee, affida determinate fasi del suo processo produttivo ad un’altra impresa, detta outsourcer, in luogo di svolgerle direttamente con la propria struttura[1].

Di regola, l’impresa committente delega all’outsourcer attività ritenute secondarie rispetto a ciò che considera la sua vera attività, per poter concentrare ed impiegare le proprie risorse sulle attività considerate strategiche (c.d. core business) e contestualmente liberarsi delle altre (c.d. middle management). In Italia, la Cassazione ha definito l’outsourcing «il fenomeno che comprende tutte le possibili tecniche mediante cui un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi che sono estranei alle competenze di base»[2].

L’outsourcer può assumere diverse vesti: essere un’impresa autonoma specializzata nel segmento dell’attività da delegare, un’impresa di nuova costituzione, eventualmente parte del gruppo societario del quale il committente fa parte. L’outsourcing può effettuarsi con la creazione di un’associazione in partecipazione, di una joint-venture o di un consorzio. Negli ultimi anni, una delle modalità più frequenti ed innovative in cui si è realizzata l’esternalizzazione, è rappresentata dal trasferimento del ramo d’azienda, già impiegato dal committente per lo svolgimento dell’attività delegata, ai sensi dell’art. 2112 c.c.(v. nota ii): in questa ipotesi, il ramo d’azienda è trasferito, insieme ai dipendenti, ad una società costituita appositamente all’interno del gruppo dell’impresa committente o ad una società già esistente o ad una società totalmente nuova ed indipendente[3].

In definitiva, l’outsourcing consente di ottimizzare le risorse di un’impresa, che vengono dedicate al perseguimento dell’obiettivo primario e, dall’altro, permette di modificare la struttura dei costi aziendali, aumentando l’incidenza di quelli variabili, con diminuzione di quelli fissi, sul totale dei costi operativi. Il successo e l’ampia diffusione dell’outsourcing – sia nel campo delle imprese private, che pubbliche – nei più svariati settori, si deve, dunque, al fatto che consente all’impresa committente di essere più competitiva sui prezzi finali, rispetto all’impresa che, scegliendo la gestione in house di tutte le attività, si carica integralmente dei costi, che si ripercuotono sul cliente finale, sotto forma dell’aumento dei prezzi dei suoi beni o servizi[4].

Ai benefici derivanti dall’impiego dell’outsourcing, vanno affiancati i rischi che viene a sopportare l’impresa committente per effetto della decisione di delegare a terzi alcune fasi dell’attività: i maggiori pericoli sono costituiti dalla (possibile) deresponsabilizzazione della struttura interna, dai c.d. switching cost – e cioè i costi che l’impresa committente deve affrontare per cambiare l’outsourcer, qualora sia inadempiente o i suoi rendimenti siano inferiori agli standard concordati – dalla perdita del controllo sull’intero processo produttivo e, infine, dal rischio che l’outsourcee dipenda (troppo) dalle imprese che forniscono segmenti del processo produttivo.

Come si preciserà infra nei paragrafi nn. 4, 5, 6, l’intervento regolamentare della Banca d’Italia mira essenzialmente a contenere e controllare questi pericoli.

  1. OGGETTO E INQUADRAMENTO GIURIDICO

Le particolari esigenze delle imprese che decidono di avvalersi dell’outsourcing non consentono di definirne a priori l’oggetto. A partire dagli anni sessanta del secolo scorso, tradizionalmente la prima forma di outsourcing è stata quella della gestione delle tecnologie e dei servizi informatici (c.d. IT, Information Technology), forma che, ancora oggi, è la più diffusa; in crescita è il ricorso allo strumento nei settori delle risorse umane, della consulenza fiscale, della manutenzione, della logistica e, per quanto interessa a questo parere, dell’attività bancaria[5].

Nella prassi commerciale si trovano varie tipologie di outsourcing, in funzione delle diverse funzioni aziendali alle quali si applicano: tra le più frequenti, si parla di «full outsourcing», quando l’impresa committente e l’outsourcer sono legati da una stretta collaborazione strutturale, con una strategia comune; di «outsourcing di base», quando la committente affida alla delegata la gestione di un particolare settore, mantenendo il controllo delle operazioni; infine, di «facility management», quando all’outsourcer si affidano funzioni esclusivamente operative ed esecutive[6].

A prescindere dalle diversità della pratica, ciò che comunque accomuna queste figure è un dato ricorrente: l’outsourcer si obbliga a fornire un servizio all’outsourcee contro il versamento di un corrispettivo e sulla base di uno standard qualitativo preventivamente concordato.

Il tratto distintivo dell’outsourcing consente il suo inquadramento giuridico e l’individuazione della disciplina applicabile, nonostante nell’ordinamento italiano non esista una disciplina specifica di questa figura negoziale.

Tra i contratti tipici nel cui ambito può collocarsi l’outsourcing, il contratto di appalto è il più vicino, nella particolare declinazione di appalto di servizi (art. 1677 c.c.) e cioè di quel contratto in base al quale l’appaltatore assume nei confronti del committente un’obbligazione che non comporta la produzione di un nuovo bene, né la trasformazione di uno esistente, ma il compimento di un’attività o la prestazione di un servizio[7].

Detto contratto, chiamato anche appalto-somministrazione, è un contratto a causa mista al quale si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice civile dei contratti di appalto e di somministrazione.

Le obbligazioni a cui è tenuto l’outsourcee sono più ampie di quelle del contratto di appalto di servizi ed è più corrette considerarlo un contratto atipico, riconosciuto dall’ordinamento ai sensi dell’art. 1322, co. 2 c.c. in quanto meritevole di tutela.

  1. OUTSOURCING IN BANCA

Come anticipato, il settore bancario non è rimasto estraneo all’esternalizzazione di parte delle sue funzioni attraverso la figura contrattuale dell’outsourcing. Tradizionalmente l’outsourcing ha riguardato le gestione delle infrastrutture tecnologiche della banca, il trasporto dei valori, la gestione degli archivi e degli strumenti di pagamento elettronici, i servizi amministrativi e di economato, perfino gli adempimenti antiriciclaggio, sino ad investire segmenti della tradizionale attività bancaria di erogazione del credito[8].

Il grado di libertà nelle modalità di esternalizzazione delle funzioni consentito alle banche è ampio, tanto da ammettere la sub-esternalizzazione, come si preciserà infra sub Par. 6.

La peculiarità del settore è data dalla presenza di un quadro normativo composto – quasi unicamente – dalle norme regolamentari della Banca d’Italia, delle istituzioni comunitarie e degli organismi internazionali, che si occupano prevalentemente della posizione dell’outsourcee, e cioè del committente, dedicando poca attenzione all’outsourcer.

Sul piano generale, è consentita alle banche ed agli intermediari finanziari l’attribuzione a soggetti terzi di funzioni operative essenziali o, comunque, importanti della loro attività.

L’attenzione della Banca d’Italia, come autorità di vigilanza del settore, è focalizzata sul presidio del rischio derivante dalla scelta di esternalizzare funzioni aziendali, sulla capacità di controllo, sulla responsabilità della banca per le attività delegate, nonché sul possesso da parte della banca delle competenze tecniche e gestionali per re-internalizzare, in caso di necessità, dette attività.

Il quadro normativo è rappresentato:

  • dagli artt. 51 e 53, co. 1, lett. d) del T.U.B. (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385), che attribuiscono alla Banca d’Italia poteri di vigilanza e regolamentari;
  • dalla Circolare della Banca d’Italia n. 263 del 27 dicembre 2006-15°aggiornamento del 2 luglio 2013, Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Titolo V, Capitolo 7 “Il sistema dei controlli interni”, sez. IV “Esternalizzazione di funzioni aziendali (outsourcing) al di fuori del gruppo bancario”, pp. 28-32.

Il 15° aggiornamento della Circolare n. 263, dopo aver nel Capitolo 7 definito un quadro organico di principi e regole, a cui deve ispirarsi il sistema dei controlli interni, introduce una disciplina organica in materia di esternalizzazione: in generale, le banche sono chiamate a presidiare attentamente i rischi derivanti dall’esternalizzazione (outsourcing), mantenendo la capacità di controllo e la responsabilità delle attività esternalizzate, nonché le competenze essenziali per re-internalizzare le stesse in caso di necessità. Disposizioni specifiche riguardano le condizioni per esternalizzare funzioni aziendali importanti o di controllo al di fuori o all’interno di un gruppo bancario.

Le nuove disposizioni sono entrate in vigore il 1° luglio 2014, ad eccezione della parte relativa all’outsourcing, per la quale è stato dato termine alle banche di adeguarsi sino al 1° luglio 2016.

  1. PRINCIPI PER L’ OUTSOURCING DI FUNZIONI (LA BANCA outsourcee)

Alla banca non è consentito di esternalizzare ogni attività.

La banca non può:

  1. delegare a terzi le proprie responsabilità e quelle dei propri organi aziendali;
  2. modificare il rapporto e gli obblighi assunti verso i clienti;
  3. mettere a rischio la propria capacità di rispettare gli obblighi previsti dalla disciplina di vigilanza o mettersi in condizione di violare le riserve di attività previste dalla legge;
  4. pregiudicare la qualità del sistema dei controlli interni;
  5. ostacolare l’attività di vigilanza della Banca d’Italia.

Con riferimento al divieto sub 1, ha chiarito la Banca d’Italia che non è ammessa l’esternalizzazione di attività che rientrino nei compiti degli organi aziendali o che riguardino aspetti nevralgici del processo di erogazione del credito, che caratterizzano l’essenza stessa dell’attività bancaria, quali il processo di valutazione del merito del credito e di monitoraggio delle relazioni creditizie.

Non formano oggetto di questo dossier l’esternalizzazione delle funzioni aziendali di controllo, che è consentita solo se l’outsourcer sia una banca, una società di revisione o organismi associativi di categoria (ad es., le Federazioni regionali delle banche di credito cooperativo).

Fatta questa premessa, la scelta della banca di ricorrere all’outsourcing per lo svolgimento di determinate funzioni aziendali, anche non importanti, deve essere coerente con la politica aziendale in materia di esternalizzazione.

In altri termini, la banca outsourcee deve definire:

  1. a) il processo decisionale da rispettare per esternalizzare funzioni aziendali (livelli decisionali, funzioni coinvolte, valutazione dei rischi, inclusi quelli connessi con potenziali conflitti di interesse del fornitore di servizi, e l’impatto sulle funzioni aziendali, valutazione dell’impatto in termini di continuità operativa; criteri per la scelta e la due diligence del fornitore);
  2. b) il contenuto minimo dei contratti di outsourcing e i livelli di servizio attesi delle attività esternalizzate;
  3. c) le modalità di controllo delle funzioni esternalizzate;
  4. d) i flussi informativi interni, idonei ad assicurare agli organi e funzioni aziendali di controllo, la conoscenza completa e la governabilità dei fattori di rischio attinenti alle funzioni esternalizzate;
  5. e) i piani di continuità operativa (clausole contrattuali, piani operativi, ecc…) nel caso di non corretto svolgimento delle funzioni esternalizzate o di inadempimento da parte del fornitore dei servizi.

Le regole stabilite dall’Autorità di vigilanza devono trovare riscontro nel contratto di outsourcing, che deve avere forma scritta.

Il contratto deve stabilire con chiarezza:

  • i diritti e gli obblighi delle parti,
  • i livelli del servizio attesi dalla banca, espressi in termini oggettivi e misurabili, nonché le informazioni necessarie per la verifica del loro rispetto,
  • gli eventuali conflitti d’interesse, le cautele da adottare per prevenirli o, se possibile, per attenuarli,
  • le condizioni, al verificarsi delle quali, si può modificare il contratto,
  • la durata e le modalità di rinnovo del contratto,
  • le obbligazioni reciproche in caso di interruzione del rapporto,
  • i livelli del servizio assicurati dal fornitore in caso di emergenza e le soluzioni di continuità compatibili con le esigenze aziendali e coerenti con le disposizioni della Vigilanza,
  • le modalità di partecipazione alle verifiche dei piani di continuità operativa dei fornitori,
  • il diritto di accesso della Banca d’Italia ai dati relativi alle attività esternalizzate ed ai locali in cui opera il fornitore di servizi, senza oneri per la banca,
  • le clausole risolutive espresse, che consentano alla banca di risolvere il contratto di outsourcing in presenza di fatti che possano compromettere la capacità del fornitore di garantire il servizio o quando il fornitore non rispetti il livello del servizio convenuto.

La banca deve, comunque, conservare la competenza richiesta per controllare efficacemente le funzioni esternalizzate e per gestire i rischi connessi, individuando al proprio interno un responsabile del controllo, dotato di adeguati requisiti di professionalità (c.d. “referente per le attività esternalizzate”).

  1. PRINCIPI PER L’OUTSOURCING DI FUNZIONI (IL FORNITORE outsourcer)

Le disposizioni regolamentari della Banca d’Italia, pur focalizzate sulla banca, si occupano anche del fornitore dei servizi, per la verità con poche disposizioni, lasciando sufficiente discrezionalità all’autonomia delle parti.

L’impresa fornitrice di servizi dovrà:

  • disporre delle competenze, delle capacità e delle autorizzazioni ( laddove necessarie) per esercitare in maniera professionale ed affidabile le funzioni esternalizzate,
  • informare la banca di qualsiasi fatto che potrebbe incidere sulla sua capacità di svolgere le funzioni esternalizzate in maniera efficace ed in conformità con la normativa vigente,
  • (in particolare) comunicare tempestivamente il verificarsi di incidenti di sicurezza, anche per consentire la pronta attivazione delle procedure di gestione o di emergenza,
  • garantire la sicurezza delle informazioni relative all’attività della banca, sotto l’aspetto della disponibilità, integrità e riservatezza,
  • assicurare il rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali.

La banca, i soggetti incaricati della revisione legale dei conti e le Autorità di Vigilanza devono poter accedere ai dati relativi alle attività esternalizzate ed ai locali in cui opera il fornitore dei servizi.

All’impresa outsourcer è consentita la sub-esternalizzazione o sub-outsourcing, intendendosi per tale la possibilità di esternalizzare a sua volta una parte delle attività oggetto del contratto di outsourcing, a condizione che non venga messo a repentaglio il rispetto dei principi e delle condizioni per l’esternalizzazione stabiliti dalle istruzioni della Banca d’Italia.

A tale fine, il rapporto di sub-esternalizzazione deve: i) essere stato preventivamente autorizzato dalla banca nel contratto (primario) di outsourcing od in un apposita pattuizione; ii) garantire il rispetto di tutte le clausole del contratto primario, compresa la possibilità per la Banca d’Italia di accedere alle attività esternalizzate ed ai locali del sub-fornitore.

  1. IL FORNITORE-CALL CENTER e i servizi di pagamento

La Banca d’Italia, rispondendo ad un quesito posto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), ha avuto occasione di verificare la possibilità per le banche di esternalizzare a società specializzate l’attività di call center per il collegamento tra la clientela e le succursali della banca (v. Boll. Vig. Banca d’Italia, n. 10 – ottobre 2001).

Preso atto che l’operatività del call center era di natura informativa e dispositiva e si concretizzava, su richiesta dei clienti o potenziali clienti della banca, nella fornitura di informazioni sui servizi offerti dalla banca e nella raccolta di disposizioni per bonifici e giroconti, nonché per la compravendita di titoli, con trasferimento delle disposizioni ricevute alle succursali competenti, senza eseguire le operazioni richieste, osservava la Banca d’Italia che l’attività del call center rappresentava una tecnica di comunicazione a distanza tra banca e cliente, in cui l’attività svolta veniva imputata direttamente alla banca, mentre la società di call center prestava un mero servizio tecnico.

Precisava la Banca d’Italia che l’attività del call center non era riconducibile alla fattispecie del collocamento di prodotti e servizi bancari e finanziari fuori sede, per la quale le banche possono avvalersi di soggetti specificamente individuati dalle Istruzioni di vigilanza.

Sottolineava, altresì, l’Autorità di vigilanza la necessità che l’esternalizzazione dell’attività fosse chiara ai clienti, che prendevano contatto col call center, con l’individuazione inequivocabile della controparte bancaria.

Si indicavano, infine, le linee di condotta per il personale operativo del call center, il quale non doveva instaurare rapporti contrattuali con i clienti, ma limitarsi allo svolgimento delle operazioni esecutive disposte dal cliente, nel quadro della regolamentazione contrattuale, già definita tra il cliente e la banca.

Detto personale non può pertanto eseguire direttamente le operazioni, ma trasferire le richieste della clientela agli uffici della banca, che avrebbero provveduto.

Questa specificazione è stata successivamente confermata dal D. lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, che ha dato attuazione alla direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno[ix], intendendosi per tali le seguenti attività (art. 1, co. 1, lett. b):

  • i servizi che permettono di depositare il contante su un conto di pagamento, nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento,
  • i servizi che permettono prelievi in contante da un conto di pagamento, nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento,
  • l’esecuzione di ordini di pagamento, inclusi il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore o presso un altro prestatore di servizi di pagamento (: esecuzione di addebiti diretti, di operazioni di pagamento con carte di pagamento o dispositivi analoghi, di bonifici, inclusi ordini permanenti),
  • l’esecuzione di operazioni di pagamento nell’ambito di un affidamento accordato ad un utilizzatore dei servizi di pagamento (ndr. vedi la specificazione tra parentesi al precedente n. 3),
  • l’emissione e/o acquisizione di strumenti di pagamento,
  • la rimessa di denaro,
  • l’esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore sia dato mediante dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica, che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utilizzatore di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi.

La regolamentazione dei servizi di pagamento consente l’esternalizzazione del servizio riservata solo a determinati soggetti: le banche, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento (art. 114-sexies T.U.B.).

Sono esclusi dall’esternalizzazione del servizio e dalla soggezione alla disciplina anzidetta «i servizi forniti dai prestatori di servizi tecnici che supportano la prestazione dei servizi di pagamento, senza mai entrare in possesso dei fondi da trasferire, compresi l’elaborazione e la registrazione dei dati, i servizi fiduciari e di protezione dei dati personali, l’autenticazione dei dati e delle entità, la fornitura di reti informatiche e di comunicazione, la fornitura e la manutenzione di terminali e dispositivi utilizzati per i servizi di pagamento» (art. 2, co. 2, lett. l, D. lgs. 11/2010).

Due sono, pertanto, le condizioni, che determinano la soggezione alla disciplina sui servizi di pagamento:

  • una soggettiva, l’essere banca od uno dei soggetti autorizzati a prestare detti servizi,
  • l’altra oggettiva, la non estraneità (ndr. il possesso) da parte del soggetto che presta il servizio di pagamento, dei fondi di cui dispone.

Ad essi si aggiunge l’autorizzazione della Banca d’Italia alla prestazione del servizio[10].

  1. COMUNICAZIONI ALLA BANCA D’ITALIA

Le banche che vogliano esternalizzare, in tutto od in parte, lo svolgimento di funzioni operative, devono comunicarlo preventivamente alla Banca d’Italia, riportando nella comunicazione tutte le indicazioni utili per verificare il rispetto delle regole indicate dalla Circolare n. 263.

La comunicazione deve avvenire almeno sessanta giorni prima della stipulazione del contratto di outsourcing, specificando le ragioni aziendali, che hanno determinato la scelta.

Da ciò deriva che la comunicazione alla Banca d’Italia deve contenere, oltre alla rappresentazione delle ragioni imprenditoriali che hanno determinato la scelta, l’indicazione dei termini e delle condizioni del contratto di outsourcing, nonché la dimostrazione dell’idoneità dell’impresa outsourcer a prestare il servizio.

L’autorizzazione all’esternalizzazione è concessa sulla base del provvedimento amministrativo di c.d. “silenzio-assenso”: la Banca d’Italia ha, infatti, sessanta giorni di tempo, a decorrere dal ricevimento della comunicazione, per avviare un procedimento amministrativo di divieto dell’esternalizzazione, che si deve concludere entro sessanta giorni.

In difetto, la banca istante è autorizzata all’esternalizzazione.

Entro il 30 aprile di ogni anno le banche che abbiano esternalizzato funzioni, devono trasmettere alla Banca d’Italia una relazione relativa ai controlli svolti sulle funzioni operative importanti esternalizzate, che dia notizia delle carenze eventualmente riscontrate e delle conseguenti azioni correttive adottate.

  1. APPENDICE GIUS-LAVORISTICA

In linea di principio, la normativa di diritto del lavoro non pone ostacoli all’esternalizzazione di attività bancarie, né impone l’adozione obbligatoria del CCNL dei credito ai dipendenti della società outsourcer, che all’interno della stessa o in una diversa struttura societaria, siano destinati a svolgere le attività esternalizzate e siano soggetti ad un diverso CCNL.

Ciò precisato, sulla premessa che l’attività in outsourcing in esame venga svolta alternativamente attraverso la cessione di un ramo d’azienda dell’outsourcer ad un nuovo ente con acquisizione dei relativi lavoratori dipendenti ovvero direttamente, nella prima ipotesi, occorre considerare le norme vigenti in materia di trasferimento dei rapporti di lavoro in seno ai trasferimenti di azienda, o ramo di essa e di responsabilità solidale per la conservazione dei crediti dei lavoratori.

Nel caso in cui l’outsourcer abbia un organico complessivamente superiore alle 15 unità è necessario assolvere al preliminare obbligo della consultazione sindacale. Nel corso della consultazione sindacale dovranno essere analizzate le condizioni economiche e normative antecedenti e successive al trasferimento dei lavoratori e si dovranno valutare le conseguenze derivanti da un eventuale mutamento della contrattazione collettiva, individuando i parametri del processo di armonizzazione tra le due diverse normative.

La procedura sindacale deve essere avviata almeno 25 giorni prima della sottoscrizione degli atti formali di trasferimento e non deve necessariamente concludersi con un accordo tra le parti. Essa si considera, comunque, validamente conclusa trascorsi 10 giorni dall’inizio degli incontri con le organizzazioni sindacali.

Assolto l’obbligo della procedura sindacale, si potrà dar corso all’effettivo trasferimento del ramo aziendale e del personale ad esso assegnato con l’applicazione delle condizioni contrattuali stabilite.

Ogni lavoratore dovrà vedersi garantito dall’outsorcer il medesimo trattamento economico e normativo goduto al momento del trasferimento

Nonostante il principio generale di conservazione dei diritti del lavoratore, le condizioni e le modalità della prestazione lavorativa dei lavoratori assegnati al ramo d’azienda trasferito, possono mutare, anche in senso peggiorativo, a seconda del contratto collettivo applicabile presso l’outsourcer.

Il rapporto di lavoro, che si considera unitario e privo di alcuna interruzione dovuta alla modificazione della parte datoriale, fa sì che il lavoratore possa far valere nei confronti dell’outsourcer i diritti già maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del precedente datore di lavoro.

Il precedente datore di lavoro e il nuovo outsourcer restano responsabili in solido nei confronti dei dipendenti trasferiti (Cass., 19 dicembre 1997, n. 12899).

La responsabilità solidale riguarda i crediti che il lavoratore ha maturato e che sussistono, in costanza del rapporto lavorativo, al momento del trasferimento. Il lavoratore ha la possibilità di escludere la responsabilità della società cedente il ramo, purché tale esclusione risulti da un accordo formalizzato in sede “protetta” o sindacale.

I contributi ed il t.f.r. non sono soggetti allo speciale regime di responsabilità solidale.

Nella seconda ipotesi e cioè nel caso che i lavoratori addetti all’attività di outsourcing restino nell’ambito della società della quale erano dipendenti, il datore di lavoro può costituire, organizzare e gestire l’organico necessario per l’assolvimento delle nuove attività in outsourcing, senza assumere alcuna obbligazione o vincolo nei confronti dei lavoratori stessi, continuando ad applicare la contrattazione collettiva del proprio settore merceologico.

  1. CONTRATTAZIONE COLLETTIVA APPLICABILE

La contrattazione collettiva più appropriata ai lavoratori non dipendenti di una banca o di un intermediario finanziario, che vengano addetti allo svolgimento di attività bancarie in outsourcing è quella del Terziario – Distribuzione e Servizi.

Sconsigliabile ad esempio per le società di call center è l’adozione dell’attuale (ed unico) contratto collettivo nazionale per i Call Center, sviluppato per le sole attività in outbound, e sottoscritto dalla sola organizzazione sindacale UGL. La sua applicazione è, infatti, limitata e ad elevato rischio di contenzioso.

È certamente possibile applicare altri contratti collettivi nei casi in cui l’outsourcer, già li abbia adottati al momento del trasferimento o nel caso in cui l’attività di prestazione di servizi non sia la sola svolta e non sia quella prevalente.

Nella determinazione della contrattazione collettiva applicabile si può decidere di mantenere quella applicata dalla società conferente il ramo d’azienda, ma è una scelta poco praticata e, comunque, solo in presenza di specifici accordi tra le due imprese.

In ogni caso, la modificazione del contratto collettivo conseguente al trasferimento del ramo di azienda non ha efficacia retroattiva ed i lavoratori mantengono i diritti acquisiti con la precedente contrattazione.

  1. INQUADRAMENTO PREVIDENZIALE

Il soggetto giuridico prestatore dei servizi, quale che sia la forma giuridica assunta, sarà inquadrato nel settore merceologico del “commercio e servizi”- INPS e dovrà versare la contribuzione previdenziale prevista per tale settore.

Per realtà con organico inferiore a 200 unità lavorative, l’accesso ad eventuali ammortizzatori sociali è subordinato alla periodica approvazione di provvedimenti legislativi di estensione della normativa nazionale, per aziende tra 50 e 200 unità lavorative o di accesso alle disposizioni in “deroga”, per le altre.

Avv. Antonio Donvito

[1] Il termine di outsourcing – risultante dalla fusione dei termini outside e resourcing – si è affermato agli inizi del novecento in Inghilterra e negli USA. Il fenomeno potrebbe essere reso in italiano col termine “esternalizzazione”, che indica il progressivo affidamento all’esterno di mansioni, strutture, competenze in precedenza svolte, al suo interno, dall’impresa committente. Per la ricostruzione del fenomeno, v. GERVASI-BALLARIN (a cura di), Outsourcing, i vantaggi di una scelta strategica, Milano, 2006; COMITO, in L’impresa dell’outsourcing, (a cura di) CAMPANELLA-CLAVARINO, Milano, 2004.

[2] Cass. 6 ottobre 2006, n. 21287, in Foro It., 2007, I, 106, n. COSTO e in Giur. It., 2007, 2729, n. TOTARO, Outsourcing e trasferimento di parte dell’azienda.

[3] GIOIA, Outsourcing: nuove tecniche di gestione aziendale e rapporti contrattuali, in Corr. Giur., 1999, 899.

[4] Secondo un’indagine del CENSIS del 2003, i fattori derivanti dall’outsourcing, che attraggono i committenti, sono: 1) l’efficienza e la rapidità dei servizi in outsourcing, 2) la personalizzazione dei servizi, 3) la modulabilità del servizio, 4) la maggiore efficienza nel controllo delle fasi produttive, 5) la possibilità di usufruire dei servizi attraverso le reti telematiche. V. comunicato stampa Censis, 20 marzo 2003, in www.censis.it; la scelta dell’outsourcing è, in realtà, non solo tra rischi e vantaggi, ma anche tra culture aziendali diverse: quella c.d. insourcing, più antica, ma non necessariamente retrò, privilegia una scelta artigianale dell’impresa, che ritiene che i prodotti “fatti in casa”, siano di qualità migliore ed a minor costo, soprattutto se realizzati direttamente dai soci-imprenditori, v. GIOIA, op. cit. nota iii.

[5] Per approfondimenti, v. MUSELLA, Il contratto di outsourcing del sistema informativo, in Dir. Informaz. e informat., 1988, 857; ROVERSI, I contratti di outsourcing della manutenzione, in Contratti, 1997, 522; BRIGNARDELLO, Tipicità ed atipicità nei contratti di prestazione dei servizi logistici, in Dir. marittimo. 1997, 325; BRONZETTI, L’outsourcing. Uno strumento di pianificazione strategica. Analisi delle principali applicazioni nel sistema bancario italiano, Milano, 2001; PARRELLA, La responsabilità per l’esercizio di attività in outsourcing, LUISS, Dip. Scienze giuridiche-CERADI, ottobre 2008.

[6] Il tratto distintivo del contratto di outsourcing – l’affidamento a terzi di una funzione solitamente svolta all’interno dell’impresa committente – contraddistingue anche un diverso tipo contrattuale diffuso nei paesi anglosassoni nell’ambito dei gruppi societari, noto col nome di management: esso consiste nell’affidamento ad una società del gruppo, di regola una controllata, l’attività di consulenza manageriale (c.d. management assistance) o la gestione quotidiana dell’impresa (c.d. management contract).

[7] PIERAZZI, L’outsourcing, in Contr. e impresa, 2009, 1356.

[8] V. recentemente, BONAFEDE, Unicredit e Mps, tagli ai costi con l’outsourcing di attività, in http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2013/04/08. Sulla esternalizzazione degli adempimenti antiriciclaggio, v. Comunicazione Banca d’Italia del marzo 2012.

[9] Sull’argomento, per una trattazione completa, rinvio a AA.VV., La nuova disciplina dei servizi di pagamento, Torino, 2011.

[10] Per la regolamentazione del servizio, si rinvia al Provvedimento della Banca d’Italia 20 giugno 2012, Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica, nonché alla BCE, Recommendations for the security of internet payments, april 2012.

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