L’assegnazione dell’esecuzione immobiliare (artt. 588 – 590-bis, c.p.c.)

Avv. Antonio Donvito

INDICE:

  1. L’assegnazione nell’esecuzione immobiliare
  2. Condizioni e legittimazione a chiedere l’assegnazione
  3. Assegnazione a favore di un terzo: il nuovo art. 590-bis, c.p.c.c
  4. Il termine per presentare l’istanza
  5. L’istanza di assegnazione
  6. L’assegnazione nella vendita senza incanto con gara tra gli offerenti
  7. L’ordinanza del giudice, il pagamento del prezzo ed il trasferimento del diritto
  8. L’assegnazione con l’assunzione del debito ipotecario e/o fondiario

1. L’assegnazione nell’esecuzione immobiliare

L’assegnazione e la vendita sono i due modi previsti dal codice di procedura per la liquidazione dei beni pignorati[1]. Come atto liquidatorio, l’assegnazione soddisfa i creditori dell’esecuzione immobiliare, realizzando una sorta di datio in solutum processuale. Nel sistema della legge, anche dopo il d.l. 59/2016, l’assegnazione è subordinata all’ipotesi in cui la vendita non abbia avuto luogo: di fatto l’assegnazione è possibile ai sensi dell’art. 588 c.p.c. quando la vendita non si sia tenuta per mancanza di offerte.

Nell’ambito della disciplina codicistica, la dottrina ha individuato tre diverse forme di assegnazione, sia per i beni mobili che immobili: l’assegnazione satisfattiva, l’assegnazione-vendita e l’assegnazione-mista.
L’assegnazione satisfattiva si verifica quando il bene del debitore è attribuito al creditore ad estinzione del suo credito, senza alcun pagamento, con un’operazione in tutto simile alla datio in solutum prevista dall’art. 1197 c.c.; in questo tipo di assegnazione il provvedimento del giudice ha immediato effetto traslativo del diritto di proprietà.

L’assegnazione – vendita, delineata dall’art. 506, comma 1 c.p.c., prevede che l’assegnatario paghi un prezzo, almeno pari alle spese di esecuzione privilegiate ex art. 2770 c.c. ed ai crediti aventi diritti di prelazione anteriore al suo, rimanendo creditore dell’esecutato.

L’assegnazione – mista, infine, indirettamente dedotta dall’art. 509 c.p.c., quando il valore del bene assegnato è superiore al credito dell’assegnatario ed ai crediti con diritto di prelazione anteriore, col conseguente obbligo dell’assegnatario di versare il conguaglio, di cui parla l’art. 509 c.p.c., sino alla concorrenza del valore del bene.

Indipendentemente dal tipo di assegnazione e diversamente dalla situazione precedente al 2005, in cui l’istanza di assegnazione si presentava solo dopo l’incanto deserto, oggi l’istanza si presenta prima dell’incanto, per l’eventualità che esso vada deserto, così “prenotando” la decisione del giudice .

Il meccanismo delineato dagli art. 588 – 590 c.p.c. anticipa sia la presentazione dell’istanza (art. 588 c.p.c.), che la decisione del giudice (art. 590 c.pc.): questi, constatata la mancanza di offerte all’incanto, provvede sull’istanza di assegnazione, fissando il termine per il pagamento dell’eventuale conguaglio, e trasferendo la proprietà del bene contestualmente o dopo il pagamento.
Il meccanismo si completa con l’art. 591 c.p.c., a mente del quale il giudice, in assenza di domande di assegnazione o se decide di non accoglierle, dispone l’amministrazione giudiziaria o fissa un nuovo incanto.

Invariato è rimasto il rapporto tra la vendita e l’assegnazione: quest’ultima non si pone in alternativa alla vendita, perché presuppone che la vendita non abbia avuto luogo; per la giurisprudenza, gli artt. 588 e 590 c.p.c., prima e dopo la riforma, prefigurano un “concorso successivo” tra vendita ed assegnazione, con l’assegnazione che si inserisce nel processo esecutivo come rimedio sussidiario, proponibile solo se la vendita non abbia avuto successo.

2. Condizioni e legittimazione a chiedere l’assegnazione

L’assegnazione del bene pignorato è prevista per l’ipotesi in cui l’immobile non sia stato aggiudicato nel corso dell’intera procedura di vendita, senza e con incanto.

L’istanza può essere presentata anche dopo il primo tentativo di vendita infruttuoso e certamente dopo il terzo esperimento negativo di vendita, sia a fronte della mancanza di offerte valide che di offerenti.

Quello che l’art. 588 c.p.c. richiede, è che la vendita sia stata tentata almeno una volta ed abbia avuto esito negativo , senza che abbia rilievo che ci sia stata mancanza di offerte o di offerenti.
Non è, invece, ammissibile l’istanza di assegnazione se l’incanto non si sia tenuto per vizi procedurali e l’aggiudicatario sia successivamente decaduto per inadempienza ai sensi dell’art. 587 c.p.c.

Secondo l’art. 588 c.p.c. «ogni creditore (…) può presentare istanza di assegnazione per sé o a favore di un terzo» (art. 505, c. 1 c.p.c.). Quindi non solo il creditore procedente, ma anche i creditori intervenuti tempestivamente sulla base di un titolo esecutivo, i creditori intervenuti senza titolo, se il loro credito sia stato riconosciuto dal debitore all’udienza di comparizione prevista dall’art. 499, c. 6 c.p.c. ed i creditori intervenuti tardivamente, iscritti o privilegiati e muniti di titolo esecutivo.

Non sono legittimati i creditori intervenuti nella procedura esecutiva senza titolo, i cui crediti siano stati disconosciuti dal debitore e non si siano tempestivamente muniti di un titolo esecutivo.

L’assegnazione può essere singolare o collettiva, a seconda se domandata ed a vantaggio di un creditore o di più.
La dottrina discute se occorra l’accordo dei creditori nelle tre forme di assegnazione; l’opinione prevalente lo richiede nell’assegnazione satisfattiva, argomentando sulla base dell’art. 505, comma 2 c.p.c., che subordina l’assegnazione singolare all’accordo dei creditori, mentre per le altre due forme (assegnazione – vendita e assegnazione – mista), non è ritenuto necessario per la sufficiente tutela dei creditori, rappresentata dal diritto di partecipare alla fase distributiva del prezzo o del conguaglio e comunque di presentare istanza per l’assegnazione ad un prezzo maggiore di quello offerto.

Il consenso non è necessario nell’assegnazione parziale, che riguarda una parte dei beni pignorati con i restanti beni che garantiscono le ragioni degli altri creditori, nonché se l’assegnazione sia stata domandata da un creditore munito di diritto di prelazione anteriore rispetto a quelli degli altri.

In caso di conflitti tra i creditori e di questioni che insorgono circa l’assegnazione, in applicazione analogica dell’art. 512 c.p.c., il giudice li risolve in udienza e decide con l’ordinanza di assegnazione.

A fronte della laconicità dell’art. 507 c.p.c. sulla forma dell’assegnazione, la soluzione prospettata pare più aderente alla ratio dell’istituto di rimediare alla situazione di stallo della procedura dopo la vendita infruttuosa, rispetto a quella di non risolvere i conflitti, di rigettare l’istanza e di disporre una nuova vendita, dal probabile esito negativo.

Per converso, il debitore, essendogli indifferenti i rapporti tra i creditori, non è legittimato a contestare la mancanza del consenso .

3. Assegnazione a favore di un terzo: il nuovo art. 590-bis c.p.c.

Premesso che ogni creditore, nel termine di dieci giorni prima della data dell’udienza fissata per la vendita, può presentare istanza di assegnazione, per sé o a favore di un terzo, a norma dell’art. 589 per il caso in cui la vendita non abbia avuto luogo, il creditore rimasto assegnatario a favore di un terzo deve dichiarare in cancelleria, nei cinque giorni dalla pronuncia in udienza del provvedimento di assegnazione ovvero dalla sua comunicazione, il nome del terzo a favore del quale deve essere trasferito l’immobile, depositando la dichiarazione del terzo di volerne profittare (art. 590-bis, co. 1, c.p.c.).

In difetto della presentazione della dichiarazione nel termine, il trasferimento dell’immobile è fatto a favore del creditore (art. 590-bis, co. 2, c.p.c.).

In entrambi i casi gli obblighi derivanti dalla presentazione dell’istanza di assegnazione restano esclusivamente a carico del creditore.

4. Il termine per presentare l’istanza

Il creditore può presentare l’istanza di assegnazione dieci giorni prima dell’udienza fissata per la vendita ai sensi dell’art. 588 c.p.c.

Il termine è stato anticipato, rispetto a quello in vigore prima della riforma del 2005 (ndr. dieci giorni che decorrevano dopo l’incanto andato deserto e, comunque, prima dell’udienza di cui all’art. 590 c.p.c.), secondo il consueto scopo di accelerare lo svolgimento della procedura esecutiva.

Ciò consente al giudice di conoscere tempestivamente dell’istanza, così da poter provvedere senza ritardo all’udienza fissata per la vendita.
Si discute in dottrina se il termine dei dieci giorni sia perentorio e pertanto stabilito a pena di decadenza, con conseguente inammissibilità delle istanze di assegnazione tardive – anche se presentate prima dell’incanto – ovvero ordinatorio, con facoltà per il creditore di presentare l’istanza sino all’inizio dell’udienza fissata per la vendita.

Stante il silenzio del legislatore circa la perentorietà o meno del termine, che – per principio generale – è soggetta a riserva di legge, non convince l’argomento dei sostenitori secondo cui il giudice, dinanzi ad un’istanza tardiva, dovrebbe disattenderla e disporre una nuova vendita.

Più coerente con lo spirito della norma, di favorire la presentazione di domande di assegnazione prima dell’incanto, è consentire la presentazione dell’istanza oltre il termine dei dieci giorni, purché prima della vendita o nel termine stabilito dal giudice per il deposito della cauzione ai sensi del’art. 576, n. 5 c.p.c., restando comunque possibile per il giudice provvedere ai sensi dell’art. 591 c.p.c. in mancanza di offerte o di offerenti.

Come tutti i termini del processo esecutivo, anche questo è sospeso durante il periodo feriale (art. 1, L. 7 ottobre 1969, n. 742).

5. L’istanza di assegnazione

L’art. 589, c. 1 c.p.c. non modificato dal d.l. 59/2016, stabilisce che l’istanza di assegnazione deve contenere l’offerta di pagamento di una somma non inferiore a quella prevista dall’art. 506 c.p.c. ed al prezzo determinato a norma dell’art. 568 c.p.c. e cioè di una somma non inferiore alle spese di esecuzione ed ai crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell’offerente, nonché al prezzo base dell’incanto determinato dal giudice sulla base della stima del suo valore effettuata dal consulente tecnico.

Fermo quanto previsto dal primo comma dell’art. 589 c.p.c., per il secondo comma il creditore istante può offrire il pagamento di una somma pari alla differenza tra il suo credito in linea capitale ed il prezzo che intende offrire oltre alle spese: la norma mira ad agevolare il ricorso dei creditori all’assegnazione, consentendo di non pagare l’intero prezzo dell’assegnazione, ma di compensarlo col proprio credito, fatto salvo il pagamento delle spese di esecuzione (così da non attendere la fase della distribuzione per vedersi restituita la differenza).

La compensazione tra il credito dell’offerente senza accessori ed il prezzo offerto opera se ricorrono congiuntamente due condizioni e cioè non vi siano creditori intervenuti e creditori iscritti con diritto di prelazione sui beni pignorati (art. 498 c.p.c.; questi ultimi, se vi fossero, devono essere avvisati della presentazione dell’istanza di assegnazione, affinché il giudice possa provvedere).

Scopo della norma è di rendere conveniente l’assegnazione satisfattiva, permettendo all’istante/investitore di limitare l’impegno finanziario alla parte di prezzo eccedente il proprio credito od anche a niente, se il credito è superiore o pari al prezzo di assegnazione: in tal caso l’istante dovrà versare solo le spese di procedura.

In caso di concorso tra i creditori intervenuti, si applicano l’art. 509 c.p.c. e le regole generali. Se concorrono creditori di grado anteriore, l’istante dovrà versare una somma corrispondente a tali crediti, sino alla concorrenza della somma stabilita dal giudice; se concorrono creditori di grado anteriore e di pari grado a quello dell’istante, questi dovrà versare la somma intera necessaria per l’attuazione del concorso, mentre in caso di concorso con creditori di grado posteriore, l’istante dovrà versare solo l’eccedenza rispetto al proprio credito il linea capitale.

La norma fa testuale riferimento al solo credito in linea capitale dell’istante, escludendo il pagamento degli interessi maturati sul credito; la disposizione è illogica: forse il legislatore voleva evitare il sorgere di contestazioni sugli interessi da parte del debitore, che avrebbero potuto ostacolare o ritardare l’assegnazione, ma queste ben potevano essere risolte dal giudice con l’ordinanza di assegnazione o, comunque, nella fase distributiva ex art. 512 c.p.c.

Difficile accettare che gli interessi coperti dalla prelazione ipotecaria ai sensi dell’art. 2855 c.c. siano esclusi dall’offerta per l’assegnazione; la soluzione è probabilmente censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale, per la disparità di trattamento irragionevolmente riservata ai creditori ipotecari, se confrontata col trattamento di maggior favore riconosciuto al creditore fondiario dall’art.41, c. 5 D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 393 (c.d. T.U.B.), che consente all’assegnatario di subentrare nel contratto di finanziamento stipulato dal debitore, senza l’autorizzazione del giudice, assumendosene gli obblighi, purché, entro quindici giorni dalla data dell’assegnazione, abbia pagato alla banca le rate scadute, gli accessori e le spese (v. infra, par. 8).

L’istanza, che si deposita (in via telematica) nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, non è soggetta all’obbligo di pubblicazione .
Nell’ipotesi vengano presentate più istanze di assegnazione, non essendo prevista una gara tra di esse, prevale l’offerta più alta.
L’art. 589 c.p.c. nulla dice circa la somma da offrire nel caso in cui l’assegnazione sia chiesta, non dopo la prima vendita infruttuosa, ma dopo i tre tentativi previsti dall’art. 591, co. 2, c.p.c. con il prezzo ridotto sino ad un quarto del prezzo base (art. 571, co. 2, c.p.c.).

La soluzione preferibile – e più conveniente per l’assegnatario – è quella di far riferimento all’ultimo prezzo base, eventualmente ridotto nel limite del quarto, e non al valore di stima dell’immobile stabilito ai sensi dell’art. 568 c.p.c., in quanto incompatibile sia con la natura liquidatoria dell’istituto, sia con gli interventi del legislatore sul processo esecutivo che, sin dalla Legge 3 agosto 1998, n. 302, con l’introduzione delle delega delle operazioni di vendita al notaio, hanno inteso migliorare i risultati delle vendite forzate dei Tribunali, avvicinandole alle logiche delle vendite del libero mercato.

Peraltro, l’interpretazione opposta e cioè quella che farebbe riferimento al prezzo base della (prima) vendita, di cui all’art. 569, co.3, c.p.c., costituirebbe un indubbio freno alla diffusione dell’assegnazione tra i creditori, perché economicamente fuori mercato.

Preferibile è quindi l’interpretazione che collega l’istanza di assegnazione al prezzo dell’ultimo incanto andato deserto, ferma restando la discrezionalità del giudice dell’esecuzione di non accogliere l’istanza di assegnazione, disponendo l’amministrazione giudiziaria o diverse condizioni di vendita, che potrebbero ridurre il prezzo di vendita sino alla metà ai sensi del novellato art. 591, co. 2, c.p.c.

Resta la norma di salvaguardia dai possibili abusi praticati con l’offerta di una somma per l’assegnazione fuori dal valore di mercato, costituita dal potere del giudice di sospendere l’assegnazione quando il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, ai sensi dell’art. 586, co. 1, c.p.c., norma applicabile anche all’assegnazione .

6. L’assegnazione nella vendita senza incanto

Una particolare forma di assegnazione è prevista quando vi siano più offerte nella vendita senza incanto ed il giudice (o il professionista delegato) abbia invitato gli offerenti ad una gara sull’offerta più alta: in questa appendice della vendita forzata, se siano state presentate istanze di assegnazione e il prezzo indicato nella migliore offerta o nell’offerta presentata per prima, sia inferiore al valore dell’immobile stabilito nell’ordinanza di vendita, il giudice non fa luogo alla vendita e procede all’assegnazione (art. 573, co. 1, c.p.c.).
Diversamente dall’ipotesi prevista dall’art. 588 c.p.c., ricorrendo questa ipotesi, il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di assegnare l’immobile.

L’art. 573 c.p.c. è parzialmente ispirato ai criteri cui è improntata la formulazione dell’art. 572 c.p.c., che consente al giudice di non disporre l’aggiudicazione ad un prezzo inferiore a quello di mercato del bene allorquando ritenga vi sia una fondata possibilità di conseguire un maggior realizzo con un altro esperimento ovvero in presenza di istanze di assegnazione.

Il comma 4 dell’art. 573 c.p.c. reitera quanto previsto dal primo comma, stabilendo che «se il prezzo offerto all’esito della gara di cui al primo comma è inferiore al valore dell’immobile stabilito nell’ordinanza di vendita, il giudice non fa luogo alla vendita quando siano state presentate istanze di assegnazione ai sensi dell’art. 588 c.p.c.».

L’art. 573 c.p.c. non attribuisce al giudice il potere di impedire l’aggiudicazione, probabilmente in considerazione del fatto che la gara, quando ha luogo, garantisce la collocazione sul mercato del bene al prezzo più vantaggioso, ma stabilisce che la presentazione delle istanze di assegnazione del creditore impedisce l’aggiudicazione quando l’offerta più alta, proposta all’esito della gara, sia inferiore al prezzo base di vendita.

Evidentemente il legislatore, pur perseguendo l’obiettivo di accelerare lo svolgimento del processo esecutivo, ha ritenuto di far prevalere l’assegnazione che deve essere richiesta per un importo pari al prezzo base (fissato nell’ordinanza ex art. 569 c.p.c.) e, quindi, una somma superiore a quella che potrebbe essere ricavata all’esito di un’aggiudicazione “al ribasso”.
In sostanza, quando nonostante la presentazione di plurime offerte di acquisto e l’eventuale celebrazione di una gara, l’aggiudicazione dovrebbe essere disposta per un prezzo inferiore, tale aggiudicazione può essere scongiurata solo in presenza di istanze di assegnazione del bene ammissibili.
L’istanza di aggiudicazione prevale, quindi, sull’aggiudicazione al ribasso e, quando ammissibile, deve essere accolta poiché il giudice dell’esecuzione non ha alcun potere discrezionale di scegliere la ripetizione della vendita alle stesse condizioni .

7. L’ordinanza del giudice, il pagamento del prezzo ed il trasferimento del diritto di proprietà

Sull’istanza del creditore, il giudice o il professionista delegato (art. 591-bis, co. 3, n. 7), c.p.c.) provvedono con ordinanza ai sensi dell’art. 590 c.p.c.
Se l’accolgono, fissano il termine per il versamento del conguaglio da parte dell’assegnatario.

Gli artt. 590 e 507 c.p.c. indicano il contenuto dell’ordinanza, che deve riportare l’indicazione dell’assegnatario, del creditore pignorante, di quelli intervenuti, del debitore e, eventualmente, del terzo proprietario del bene assegnato e del prezzo di assegnazione.

L’ordinanza di assegnazione ordina il pagamento delle spese di trasferimento del bene a carico dell’assegnatario. Il provvedimento si comunica a tutti gli interessati legittimati alla proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi.

L’art. 508 c.p.c. consente all’assegnatario di un bene gravato da ipoteca, con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, di concordare con il creditore ipotecario l’assunzione del debito con le garanzie inerenti, liberando il debitore: l’eventuale assunzione del debito da parte dell’assegnatario deve essere menzionata nel provvedimento del giudice.

Se l’assegnatario non paga alcun prezzo, perché l’assegnazione è satisfattiva, l’ordinanza trasferisce immediatamente il diritto di proprietà e ordina la cancellazione delle formalità pregiudizievoli, nonché al custode od al debitore il rilascio dell’immobile a favore dell’assegnatario; l’ordinanza è titolo per la trascrizione dell’assegnazione nei registri immobiliari e titolo esecutivo per il rilascio.

Se l’assegnatario deve pagare il prezzo o versare il conguaglio, come avviene nell’assegnazione – vendita e nell’assegnazione mista, l’effetto traslativo del diritto di proprietà non è immediato, ma è rinviato al decreto di trasferimento previsto dall’art. 586 c.p.c.

Non trasferendo il diritto, l’ordinanza di assegnazione è revocabile ai sensi dell’art. 487 c.p.c. sino a quando non è eseguita, cioè sino all’emissione del decreto di trasferimento.

La parte del prezzo corrispondente alla differenza tra il valore del bene assegnato ed il credito dell’assegnatario si deposita nelle forme dei depositi giudiziari (art. 162 disp. att. c.p.c.).
Nel caso di vendita delegata ad un professionista, questi provvede sull’assegnazione come da art. 591-bis, c. 2, n. 7) c.p.c., ma l’effetto traslativo è riservato alla competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione, come da art. 591-bis, c. 10 c.p.c. che provvede col decreto di trasferimento.

Non regolando l’art. 590 c.p.c. il caso dell’inadempienza dell’assegnatario e considerato che l’assegnazione è sospensivamente condizionata al versamento del conguaglio, si applicano per analogia gli artt. 587 c.p.c. e 177 disp. att. c.p.c., che disciplinano gli effetti dell’inadempienza dell’aggiudicatario: non si perde la cauzione, che non si versa, ma l’assegnatario inadempiente è responsabile del pagamento del conguaglio . L’applicazione all’assegnazione dell’art. 587 c.p.c. fa ritenere perentorio, e non prorogabile, il termine stabilito dal giudice per il versamento del conguaglio o il pagamento del prezzo.

Versato il conguaglio, il giudice trasferisce l’immobile assegnato col decreto di cui all’art. 586 c.p.c.; come precisato nel precedente paragrafo, fino a questo momento il giudice può sospendere l’assegnazione ai sensi dell’art. 586 c.p.c., se rileva l’incongruità del prezzo dell’assegnazione (v. nota 18).

Contro l’ordinanza di assegnazione può essere proposta dagli interessati l’opposizione agli atti esecutivi.

Gli effetti sostanziali dell’assegnazione forzata sono uguali a quelli della vendita forzata per il rinvio fatto dall’art. 2925 c.c. agli artt. 2912 e segg. c.c.

L’assegnazione produce ai sensi dell’art. 586 c.p.c., un effetto purgativo del pignoramento, delle ipoteche e dei privilegi speciali gravanti sul bene assegnato, nonché della trascrizione della domanda giudiziale di revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c. , analogamente a quanto accade nella vendita giudiziale (art. 2919 c.c.).

8. L’assegnazione con l’assunzione del debito ipotecario e/o fondiario

Come precisato nel precedente paragrafo, l’art. 508 c.p.c consente all’assegnatario di domandare al giudice l’autorizzazione all’assunzione del debito: si tratta di una forma di adempimento alternativa al versamento del prezzo e può essere autorizzata dal giudice solo in favore del creditore ipotecario, relativamente all’importo per il quale questi abbia diritto di soddisfarsi con preferenza rispetto ai creditori concorrenti.

In ragione del fatto che l’assunzione comporta l’esonero, totale o parziale, dal versamento del prezzo, essa può trovare applicazione solo nei casi di assegnazione-vendita o di assegnazione mista (v. ante par. 1).

L’assunzione non produce l’immediata soddisfazione del creditore accollatario, che conserva la garanzia ipotecaria sul bene, ma determina la successione dal lato passivo del rapporto.
L’assunzione non determina, pertanto, l’estinzione dell’ipoteca e ciò in deroga all’effetto purgativo della vendita forzata.

Dal punto di vista operativo, l’assunzione del debito deve essere innanzitutto concordata tra l’assegnatario ed il creditore ipotecario e successivamente essere richiesta con un’istanza che deve essere accolta dal giudice per un importo non superiore al credito che il creditore ipotecario ha diritto a vedere soddisfatto con preferenza rispetto agli altri creditori, salvo l’assuntore non offra (anche) di pagare i crediti che prevalgono su quello che si vorrebbe accollare (il c.d. conguaglio).

E’ dunque ipotizzabile che l’assunzione sia consentita per un valore non corrispondente al credito assistito da ipoteca, ma per la quota parte di esso che possa essere collocato nella fase distributiva, prima di ogni altra pretesa creditoria e che l’assegnatario sia tenuto al versamento di una parte del prezzo per la differenza.
Il giudice, accogliendo l’istanza di assunzione, determina l’ammontare del credito che viene assunto dall’assegnatario.

L’assunzione del debito è un atto negoziale e non esecutivo ed è soggetto pertanto alla disciplina dei negozi tra privati: non trova quindi applicazione l’art. 2929 c.c. concernente la “nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione”.

Contro l’atto del giudice che autorizza l’assunzione del debito o rigetta l’istanza può proporsi l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.).

Il deposito in cancelleria dell’atto di assunzione e l’eventuale pagamento di una somma a titolo di conguaglio devono avvenire nel termine previsto dall’ordinanza di vendita per il pagamento del prezzo di aggiudicazione: dopo il deposito dell’atto di assunzione del debito il giudice emette il decreto di trasferimento nel quale si menziona l’assunzione del debito senza disporre la cancellazione dell’ipoteca a favore del creditore.

In caso di mancato deposito dell’atto di assunzione o di mancato pagamento del conguaglio, l’assegnatario dovrà essere dichiarato decaduto poiché queste omissioni configurano l’inadempienza dell’aggiudicatario prevista dall’art. 587 c.p.c.

Quanto alla tutela da riservare al creditore ipotecario nel caso di inadempimento dell’assuntore, sono prospettabili due soluzioni: che il creditore possa agire esecutivamente in danno dell’assuntore in forza del provvedimento di assunzione, che costituisce titolo esecutivo ex art. 474, co. 2, n. 3, c.p.c. ovvero che l’efficacia della vendita resti condizionata all’integrale versamento del prezzo.

La disciplina del credito fondiario prevede una ipotesi specifica di assunzione del debito: l’art. 41, d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (c.d. TUB) stabilisce infatti che «l’aggiudicatario o l’assegnatario possono subentrare, senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione, nel contratto di finanziamento stipulato dal debitore espropriato, assumendosi gli obblighi relativi, purchè entro quindici giorni dal decreto previsto dall’art. 574 c.p.c. ovvero dalla data di aggiudicazione o dell’assegnazione paghino alla banca le rate scadute, gli accessori e le spese».

È un accollo diverso da quello previsto dall’art. 508 c.p.c.: esso prescinde dall’autorizzazione del giudice e comporta il subentro nel contratto di finanziamento con il pagamento delle rate scadute, degli accessori e delle spese, una sorta di “riammissione in termini” di matrice processuale, dopo la decadenza dal beneficio del termine del debitore esecutato o la risoluzione del contratto.

Dal punto di vista pratico, in caso di contratto risolto l’art. 41 potrebbe applicarsi solo ritenendo che il subentro nel contratto di finanziamento costituisca una successione nel debito e presupponga la predisposizione di un nuovo piano di ammortamento alle stesse condizioni previste dall’originario contratto.

Milano, 11 maggio 2016.

Avv. Antonio Donvito

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