La disciplina civilistica dell’usura

avv. Antonio Donvito

  1. LA RICERCA DELL’EQUILIBRIO

Il mondo cambia, ma resiste nel giurista l’idea illuminista secondo cui l’equilibrio contrattuale tra il dare e l’avere, il do ut des tra le parti, corrisponderebbe all’accordo raggiunto liberamente, consacrato nel testo del contratto. L’autonomia privata avrebbe, in altri termini, il potere magico di stabilire l’equilibrio tra le reciproche prestazioni, equilibrio oggettivo e soggettivo.

Per lungo tempo, la ricerca dell’equilibrio oggettivo del rapporto contrattuale è mancata nella nostra legislazione, nonostante la Costituzione l’avesse informata ai principi dell’utilità sociale e della solidarietà, certamente sovraordinati a quello codicistico dell’autonomia (art. 1322 c.c.).

Nell’impianto delle obbligazioni, il controllo dell’equilibrio tra le prestazioni si realizza a livello di clausole contrattuali ed è, in gran parte, affidato alla disciplina delle clausole vessatorie, di cui al codice del consumo (art. 33 e segg. Cod. cons.).

In tema di interessi, la protezione formale posta dall’art. 1284, c. 3, c.c. (ndr. che impone la forma scritta in ipotesi di convenzione di interessi in misura superiore a quella legale), che nelle intenzioni doveva costringere l’usuraio a confessare l’interesse eccessivo per esporlo alla riprovazione pubblica, non è stata tuttavia di ostacolo agli squilibri di natura sostanziale.

In questo contesto, il diritto bancario e dei contratti di credito si distingue per una speciale disciplina dell’equilibrio tra le prestazioni, che trova la sintesi nella legge anti usura 7 marzo 1996, n. 108.

A ragione la magistratura, indagando sulla ratio della legge, soprattutto per i suoi effetti sul diritto privato, ha osservato che uno degli scopi della disciplina anti-usura era di contrastare l’abuso e lo strapotere da parte delle banche e degli intermediari finanziari sulla fascia debole della propria clientela, nel segno dell’equilibrio e della trasparenza[1].

Per la verità, a tal fine avrebbe soccorso anche la disciplina codicistica della rescissione per lesione (art. 1448 c.c.[2]), che corrisponde all’impianto liberista del codice del 1942, come appare dalle condizioni di natura soggettiva richieste per accedere alla protezione, lo stato di bisogno del contraente e l’approfittamento da parte dell’altro.

L’art. 1448 c.c., di difficile applicazione pratica, non ha peraltro rimediato efficacemente alle situazioni di squilibrio contrattuale[3].

All’opposto dell’impostazione liberista, si è collocata la legge 108/96 sull’usura[4], che, prescindendo dalle condizioni soggettive dei contraenti, ha fatto leva sull’oggettivo squilibrio tra le prestazioni patrimoniali.

La scelta di puntare sul livello dei tassi d’interesse per selezionare gli interessi leciti da quelli illeciti non è nuova nella storia e richiama modelli utilizzati in altre esperienze giuridiche (v. soprattutto, quella francese, compresa nel codice del consumatore e l’interest cap previsto per i consumer loans dello stato americano dell’Indiana).

Certamente, la scelta semplifica gli oneri probatori a vantaggio della parte (di regola, la più debole), che intenda far valere l’usurarietà e la decisione del giudice.

  1. LA LEGGE 108/96

Le origini e la radice penale

All’origine del termine usura, di per sé moralmente neutro, c’è la radice latina del sostantivo usus e del verbo utor (usare), che indicavano i frutti derivanti dall’uso, i benefici conseguenti al prestito effettuato, insomma qualsiasi guadagno derivante da un prestito.

Storicamente, la disciplina dell’usura è stata condizionata da considerazioni di carattere religioso, etico ed economico e tuttora si trova in rapporto di strettissima continuità con le sue radici storiche[5].

Venendo al passato prossimo del nostro ordinamento, la fattispecie dell’usura, eliminata dal codice penale Zanardelli del 1889, che riprendeva il codice sardo del 1859, sull’onda dell’ideologia liberista della seconda metà dell’ottocento, venne reintrodotta dal codice Rocco del 1930, che identificava il carattere peculiare dell’usura nell’approfittamento dello stato di bisogno, che mortificava la libertà di scelta del debitore.

La fattispecie dell’usura pecuniaria nella formulazione originaria dell’art. 644 c.p., si costruiva attorno ad una condotta e su un fatto: l’approfittamento dell’usuraio e lo stato di bisogno della sua vittima.

Originariamente lo stato di bisogno era riferito al solo debitore civile ed alle sue necessità fondamentali di vita (malattia, vecchiaia, disgrazie), mentre la disciplina legale lasciava privo di tutela l’imprenditore vittima dell’usura per necessità economiche legate alla sua attività.

Ci vollero molti anni prima che il legislatore intervenisse per colmare questo vuoto di tutela , introducendo la nuova fattispecie incriminatrice dell’usura c.d. impropria (art. 644 bis, c.p., ora trasfuso nel terzo comma, seconda parte dell’art. 644 c.p.), che sostituiva all’elemento tradizionale dello stato di bisogno, con la condizione di difficoltà economica o finanziaria dell’imprenditore, punendo chi, al di fuori dei casi dell’usura tradizionale, «approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge un’attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari» (v. L. 18 febbraio 1992, n. 172).

La riforma del ’92 aveva, tuttavia, mantenuto generico ed indeterminato il requisito della richiesta o promessa degli interessi o vantaggi usurari, lasciando al giudice il compito di stabilire, nei casi concreti, la natura usuraria o meno degli interessi e quindi del prestito.

La discrezionalità concessa al giudice (penale e civile) nella determinazione della misura dell’usura degli interessi, con la produzione di giurisprudenze e prassi disomogenee e contrastanti, unita all’aggravamento negli anni 1991–1992 del fenomeno usurario, come dramma sociale diffuso, che colpiva commercianti e piccoli imprenditori, sono state le ragioni che hanno portato alla riforma sfociata nella legge 108, che ha dato attualità e concretezza al contrasto dell’usura, introducendo un parametro legale di riferimento, in modo da stabilire, una volta per tutte, la soglia oltre la quale l’interesse, da lecito diventa, iuris et de iure, illecito e penalmente rilevante (usurario)[6].

Dal punto di vista penalistico, non pare che la nuova e più severa disciplina penale abbia rafforzato il contrasto all’usura, segnalandosi nel periodo 1998–2004 un calo progressivo delle denunce presentate, al quale non corrisponde la riduzione del fenomeno criminoso[7].

La nuova legge sull’usura ha certamente avuto maggiore impatto sul settore civile rispetto a quello penale, che ancora dibatte sull’oggetto della protezione: il patrimonio della vittima, l’economia pubblica, l’ordinamento del credito.

Nel dubbio, la declinazione civilistica della disciplina fa pensare che l’oggetto della protezione sia l’esigenza pubblicistica di regolamentare il mercato creditizio, con uno strumento utile per controllare l’aumento del costo del denaro bancario.

D’altro canto, nel momento in cui si affianca all’originario oggetto della tutela (l’interesse patrimoniale della vittima) la disciplina del mercato, è evidente che non si possono ignorare i soggetti che sono i protagonisti del mercato del credito e cioè le banche. Ed è per questo che la disciplina dell’usura del 1996 è calibrata espressamente sulla realtà finanziaria e bancaria.

Quanto alla catalogazione, si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque, la cui condotta criminale si realizza nello scambio di due prestazioni: l’usuraio presta denaro o altra utilità alla vittima, la quale, in cambio, gli dà o promette interessi o altri vantaggi sproporzionati per eccesso.

L’usura, che tradizionalmente si trova negli interessi del contratto di mutuo, può comunque albergare in qualsiasi contratto a prestazioni corrispettive, quali l’apertura di credito, la vendita a rate o con patto di riscatto, la locazione di cose, ecc..(c.d. usura «palliata»).

Quanto alle altre utilità, che oltre al denaro, possono essere prestate dall’usuraio, la previsione normativa consente di affiancare all’usura c.d. pecuniaria, l’usura c.d. reale, dove l’illecito si annida nella prestazione di un servizio o di un’attività professionale[8].

Quanto alla consumazione del reato, è sufficiente la stipulazione di un tasso d’interesse superiore al limite di legge, senza che rilevi lo stato di difficoltà della vittima e l’approfittamento del soggetto attivo (art. 644, c. 3, parte prima c.p.).

Per evitare vuoti di tutela, il legislatore ha mantenuto l’ipotesi residuale dell’usurarietà in concreto (ndr. l’ex art. 644 bis c.p..), che ricorre quando gli interessi, pur inferiori al tasso determinato ai sensi della legge, siano comunque sproporzionati con riguardo alle caratteristiche della situazione concreta e la vittima si trovi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria (art. 644, co. 3, parte seconda c.p.).

L’usurarietà in concreto mantiene al giudice il potere discrezionale (che gli attribuiva il previgente art. 644 c.p.), di accertare nel concreto la sproporzione tra gli interessi ed il valore della prestazione, nonchè l’esistenza delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria del debitore.

Quanto all’elemento soggettivo, l’usura è un delitto a dolo generico, che comprende la coscienza e la volontà di concludere un contratto sinallagmatico con interessi o vantaggi usurari (v, infra sulla valutazione dell’elemento soggettivo, il paragrafo sulla norma penale in bianco.

Il particolare tecnicismo della legge, con la previsione amministrativa del tasso soglia, esclude il dolo quando la violazione della norma penale sia dovuta ad un errore di fatto o d’interpretazione del contenuto dei decreti ministeriali e cioè di quei provvedimenti regolamentari che determinano il tasso medio degli interesse in relazione alle varie operazioni bancarie[9].

Quanto alla consumazione del reato, alla tradizionale opinione che lo riteneva istantaneo e coincidente col momento della pattuizione, è subentrata quella che lo inquadra nel genus dei reati permanenti, sulla base del nuovo art. 644 ter c.p., che stabilisce che la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale[10].

La norma penale in bianco

Come osservato, la legge 108 si caratterizza per la drastica riduzione della rilevanza nella fattispecie del reato di usura delle condizioni soggettive dello stato di bisogno della vittima (ndr. che diventa un’aggravante della norma penale, art. 644, c. 5, n. 3), c.p.) e dell’approfittamento da parte del reo, nonché per l’introduzione di un limite quantitativo al tasso degli interessi delle somme date a prestito.

Ridisegnando il reato di usura[11], la legge 108 lo ha inserito in una fattispecie più ampia di quella dell’art. 1448 c.c.[12], sanzionandola con la nullità della clausola contrattuale degli interessi usurari e la non debenza di interesse alcuno, ai sensi dell’art. 1815, co. 2, c.c.

Difettando una definizione civilistica dell’usura, il riferimento è all’art. 644 c.p., che, per unanime opinione, è una norma penale “in bianco”, nel senso che la norma non contempla tutti gli elementi costitutivi della fattispecie del reato.

L’elemento centrale del reato e cioè l’interesse usurario, dipende infatti dall’esito di un procedimento di concretizzazione matematica che individua per ciascun trimestre la misura certa del tassi usurari espressa in un numero: da qui l’importanza dei fattori che consentono di determinarlo.

L’art. 644, co. 3 c.p., al suo terzo comma rimette alla legge la concreta individuazione del c.d. tasso soglia, che della fattispecie è l’elemento imprescindibile, attraverso rilevazioni trimestrali previste dalll’art. 2, commi 1 e 4, L. 108/96: la “legge (che) stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”; per la legge, “il limite (…) oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso[13], aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali[14]/[15].

Il quadro normativo per la determinazione del tasso effettivo globale medio è stato fortemente condizionato da interventi normativi nonché da pronunce della Cassazione che hanno introdotto importanti elementi di novità in tema di usura bancaria.

Un elemento caratterizzante di questo processo evolutivo si rinviene nelle progressive correzioni che le decisioni della Cassazione hanno apportato alle indicazioni fornite alle banche dalla Banca d’Italia. A partire dal 1996 le circolari hanno proposto interpretazioni restrittive delle voci da inserire nel calcolo degli interessi (prima tra tutte la commissione di massimo scoperto), così che la giurisprudenza ha dovuto affrontare in termini generali il problema del rapporto tra la norma e le circolari della Banca d’Italia.

In questo senso, la Cassazione ha chiarito che è manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità del combinato disposto degli artt. 644, co. 3 c.p. e 2 della Legge 108/96 per contrasto con l’articolo 25 Cost. sotto il profilo che le predette norme, nel rimettere la determinazione del tasso soglia, oltre il quale si configura uno degli elementi soggettivi del delitto di usura, ad organi amministrativi, determinerebbero una violazione del principio della riserva di legge in materia penale. La corte ha osservato che il principio della riserva di legge è rispettato in quanto la suddetta legge indica analiticamente il procedimento per la determinazione dei tassi soglia, affidando al Ministero del tesoro solo il limitato ruolo di fotografare, secondo rigorosi criteri tecnici, l’andamento dei tassi finanziari[16].

Richiamando il principio della riserva di legge, la Cassazione ha costantemente limitato la funzione integratrice del precetto penale affidata ai decreti ministeriali, sostanzialmente calibrati sulle indicazioni della Banca d’Italia[17].

Con riferimento, ad esempio, alle istruzioni sulla non inclusione (all’inizio) della commissione di massimo scoperto (c.d. CMS) nel calcolo del tasso usurario, la Cassazione, premesso che sono rilevanti per la determinazione di detto tasso, tutti gli oneri che l’utente sopporta in relazione all’utilizzo del credito, ha precisato che le circolari e le istruzioni della Banca d’Italia non rappresentano una fonte di diritti e di obblighi, tanto da ritenere, nell’ipotesi in cui le banche si conformassero ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d’Italia, non esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo oggettivo[18].

In ambito penale l’indicazione della SC è chiara: vale solo la norma di legge contenuta nell’art. 644, co. 4 c.p., secondo cui nella determinazione del tasso soglia vanno compresi tutti gli oneri che la parte sopporti in connessione col credito ottenuto.

Quanto all’elemento soggettivo, la Cassazione esclude l’elemento psicologico del reato sulla base della valutazione congiunta delle seguenti circostanze, offrendo così all’interprete una serie di criteri per la sua verifica[19]:

  • minima entità dei superamenti del tasso soglia nel corso di rapporti bancari di lunga durata,
  • episodicità dei superamenti della soglia nel corso di rapporti bancari di lunga durata,
  • controprova degli esiti dei diversi criteri di calcolo,
  • contraddittorietà della normativa secondaria di settore (nel caso di specie le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia ed i decreti ministeriali che escludevano la CMS dal calcolo del TEG).

La Cassazione ha, tuttavia, ritenuto inescusabile l’errore commesso dalla banca nel calcolo dell’ammontare degli interessi usurari, trattandosi di interpretazione che non presenta particolari difficoltà; per converso, ha considerato scusabile l’ignoranza e l’inevitabilità dell’errore se originato da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un pacifico orientamento giurisprudenziale dal quale l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione e della liceità del suo comportamento.

  1. LE BASI DI CALCOLO DEL TASSO MEDIO (TEG medio): il principio di omnicomprensività

Secondo la legge

Uno degli obiettivi della legge 108 è di assicurare ai clienti di banche ed intermediari la trasparenza del costo complessivo dell’operazione creditizia e, soprattutto, degli interessi richiesti.

Interessi che nel nostro sistema si distinguono nei due grandi gruppi dei compensativi (ndr. i frutti civili, corrispettivi del godimento di capitali altrui, che maturano giorno per giorno in funzione della durata del diritto, ex art. 820, c. 3, c.c.) e dei moratori (ndr. clausole penali comprese, ex art. 1224 c.c.).

Gli interessi applicati all’operazione di credito, si tratti di un contratto bancario tradizionale o di un contratto di credito al consumo, devono essere chiaramente indicati e pubblicizzati nei contratti (artt. 117, c. 4, e 123, c. 1, lett. a) e c), TUB).

Per la determinazione dell’interesse usurario, l’art. 644, c. 4, c.p., come sostituito dall’art. 1 della legge 108, ha stabilito che “si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito” (art. 644, c. 4, c.p.).

Come già precisato, la norma penale, che non faceva cenno alle commissioni bancarie, è stata integrata dall’art. 2 bis, c. 2, d.l. 29 novembre 2008, n. 185 (conv. nella L. 28 gennaio 2009, n. 2), che ha stabilito che «gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalla clausole, comunque, denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente (…) sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’art. 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108».

Per la determinazione del tasso d’interesse si applica, quindi, il principio della omnicomprensività dei costi e degli oneri, principio che, nella sua applicazione, comprende voci di costo, che né il legislatore, né la pubblica amministrazione avevano inteso comprendere.

La loro inclusione tra le componenti del Tegm si giustificava in funzione antielusiva delle regole poste dalla legge 108, considerato che nella pratica negoziale dell’epoca (1996), le banche denominavano come spesa anche ciò che in realtà era un corrispettivo[20].

Secondo il MEF e la Banca d’Italia

La regola della omnicomprensività si applica ad ogni contratto di credito, fatto salvo il maggior rigore riservato ai contratti di credito al consumo, per i quali il collegamento della spesa all’erogazione del credito è sostituito dalla mera indicazione della spesa nel contratto: il c.d. TAEG, corrispondente nel credito al consumo del TEG medio dei contratti bancari, comprende, infatti, tutte le spese riportate sul contratto (v. D.M. Tesoro 8 luglio 1992, come integrato dal D.M. Economia 3 febbraio 2011).

Per i contratti di credito al consumo, l’inserimento della spesa nel calcolo del tasso effettivo dell’operazione dipende più che dal collegamento voluto dalle parti tra la spesa ed il credito concesso, dal solo fatto di essere una spesa finanziata.

La Banca d’Italia ha precisato le componenti e cioè gli oneri e le spese da comprendere nel calcolo del TEG[21]:

  • Le spese di istruttoria del finanziamento/di chiusura della pratica/di liquidazione degli interessi/di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate, anche se sostenute da terzi/per servizi accessori connessi al contratto, anche se forniti da terzi;
  • Il costo dell’intermediario mediatore, se sostenuto dal cliente;
  • Le spese per assicurazioni e garanzie a tutela dei diritti del creditore, se la conclusione del contratto ( di assicurazione o di garanzia) è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatoria per ottenere il credito ovvero per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte;
  • Gli oneri per la messa a disposizione dei fondi (le c.d. commissioni), le penali e gli oneri applicati per il caso di passaggio a debito di conti non affidati e negli sconfinamenti;
  • Ogni altra spesa ed onere contrattualmente previsto e connesso con l’operazione di finanziamento.

Sono esclusi dal calcolo:

  • Le imposte e le tasse;
  • Le spese notarili;
  • I costi di gestione del conto su cui vengono registrate le operazioni/i costi relativi alle operazioni di pagamento/i costi relativi all’utilizzazione di un mezzo di pagamento;
  • Gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente per il caso di inadempimento di un obbligo, fatto salvo quanto si preciserà infra;
  • Le penali previste in caso di estinzione anticipata del rapporto in quanto eventuali.

Secondo la Giurisprudenza e l’ABF

La giurisprudenza, chiamata ad individuare l’interesse usurario ed a verificare il superamento del tasso soglia, ha applicato il principio di omnicomprensività ed inclusività dei costi e degli oneri fissato dall’art. 644, c. 4, c.p., soffermandosi, soprattutto, su alcune delle spese, commissioni collegate all’erogazione del credito, ad esempio, sulle polizze assicurative stipulate in connessione con i contratti di prestito, sulle commissioni di affidamento. Un ia parte meritano gli interessi di mora.

Quanto al costo delle polizze assicurative, se stipulate contestualmente al contratto di prestito, non necessariamente a garanzia dell’inadempimento del cliente, ma anche a copertura di rischi diversi, esso si conteggia per la determinazione del TEG e la verifica del superamento del tasso soglia.

La loro rilevanza come basi del calcolo, dipende anche dalla indubbia natura remuneratoria, anche se indiretta, per la banca o l’intermediario finanziario, con la conseguenza che il costo va compreso nel calcolo del tasso applicato[22].

Le decisioni dell’ABF sono in linea con l’orientamento giurisprudenziale; entrambe ritengono irrilevante la questione della facoltatività della stipulazione della polizza, osservando che ciò che rende necessario l’inserimento del costo della polizza per la determinazione del tasso soglia, è la mera contestualità del contratto d’assicurazione con quello di credito[23].

Focus sulla commissione di massimo scoperto (CMS)

Nessun testo normativo definisce la commissione di massimo scoperto: nei contratti bancari non se ne trova una definizione univoca. La CMS rappresenta in concreto una voce di costo per la clientela che ha avuto rapida diffusione nella prassi bancaria, connotata da un progressivo incremento dell’onerosità inversamente proporzionale al decrescere degli interessi legali.

Per molti anni, sostanzialmente sino al 2009, le CMS non hanno fatto parte del calcolo del TEG, esclusione motivata dal fatto che si tratterebbe di un onere non strettamente collegato all’erogazione del credito (v. art. 644 c.p.), poiché previsto dalla tecnica bancaria come remunerazione dell’impegno assunto dalla banca di tenere a disposizioni per il cliente liquidità indipendentemente dal suo utilizzo.

Diversa sarebbe quindi la natura della CMS rispetto a quella degli interessi passivi: questi ultimi rappresentano la remunerazione per l’erogazione effettiva di fondi, mentre la CMS il corrispettivo per la tenuta a disposizione di quei fondi.

Le Istruzioni della Banca d’Italia, in vigore sino al dicembre 2009, indicavano di non calcolare le CMS ai fini del TEG e così pure i decreti ministeriali emessi a partire dal dicembre 2001 al settembre 2009, concernenti i tassi medi sino all’ultimo trimestre 2009, specificavano che il tasso soglia non comprendeva la CMS eventualmente applicata.

A seguito degli interventi della Cassazione[24], che collocavano le CMS tra gli oneri da computare per il calcolo del TEG, è stata introdotta con l’art. 2-bis, d.l. 185/2008 (conv. con la l. 2/2009) una disciplina civilistica dettagliata della CMS.

La norma, al comma 1, ha previsto la nullità delle CMS e di tutte quelle clausole comunque denominate che prevedano una remunerazione a favore della banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di un conto corrente, indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma e dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente.

Al comma 2, ha stabilito la rilevanza ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3, l. 108/96 (ed il loro assoggettamento ai limiti della soglia dell’usura) di tutte le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente.

Il legislatore ha così modificato il metodo di rilevazione dei tassi soglia e le modalità di calcolo del TEG. Prendendone atto, la Banca d’Italia con le Istruzioni aggiornate ad agosto 2009, precisato che fino al 31.12.2009 le CMS restano escluse dal calcolo, le ha inserite nel computo del TEG dal primo gennaio 2010.

Peraltro parte della giurisprudenza di merito ha continuato a considerare invalide le CMS, disattendendo le Istruzioni della Banca d’Italia applicabili sino al 2009[25].

Focus sugli interessi di mora

Scopo degli interessi di mora è la liquidazione consensuale e preventiva del danno risarcibile in caso di inadempimento con una clausola assimilabile a quella penale[26].

Le parti non sono mai state totalmente libere nella determinazione del tasso degli interessi, che, se manifestamente eccessivo, poteva e può essere ridotto equamente dal giudice ai sensi dell’art. 1384 c.c., anche d’ufficio[27], fermo restando che, rispetto ai consumatori, la «manifesta eccessività» della penale renderebbe la clausola, non oggetto di trattativa, abusiva fino a prova contraria e, dunque, nulla ai sensi degli artt. 32, c. 2, lett. f) e 36, D. lgs. 206/2005.

Peraltro, la riducibilità della penale è espressione del potere-dovere del giudice di controllo della legittimità e congruità delle clausole contrattuali destinate a determinare una pena privata alla parte inadempiente, per garantirne la sua proporzionalità.

A questa protezione apprestata dal codice civile e dal codice del consumo, si affianca la disciplina dell’usura, che con l’art. 644, c.1 c.p., nel delineare la fattispecie del reato usurario, fa riferimento agli interessi corrispettivi e cioè agli interessi o altri vantaggi pattuiti o conseguiti a fronte della prestazione di denaro o di altra utilità, mentre con l’art. 1815, c. 2 c.c. ha sanzionato con la nullità la pattuizione degli interessi usurari nel contratto di mutuo, senza specificazione del tipo d’interesse.

Nel successivo intervento, di cui all’art. 1, c. 1, d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, il legislatore ha fatto espresso riferimento agli interessi convenuti «a qualunque titolo», secondo alcuni aderendo all’orientamento della giurisprudenza, favorevole a computare gli interessi di mora tra le voci rilevanti per il riscontro dell’usurarietà. Secondo altri, per sanzionare ogni pattuizione di interessi corrispettivi ultra legem.

L’orientamento favorevole alla rilevanza usuraria degli interessi di mora, non è nuovo e risalente a prima della legge del 1996[28], si rafforza con la legge 108 e riceve l’avallo della Corte Costituzionale, che, con la sentenza 25 febbraio 2002, n. 29, ha (ndr. si tratta di un obiter dictum) precisato che “il riferimento contenuto nel d.l. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto…secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”.

Quanto alla Cassazione, con decisione del 9 gennaio 2013, n. 350, in linea con precedenti pronunce, ha stabilito che “…ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p.. e dell’art. 1815, c. 2 c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi di moratori[29].

la giurisprudenza di merito è totalmente conforme alla giurisprudenza della cassazione, semmai si discute della sommatoria o meno degli interessi di mora o delle conseguenze della invalidità degli interessi di mora usurari.

Ad oggi, dunque, secondo la giurisprudenza, i tassi soglia ricavabili dai tassi effettivi globali medi indicati nei decreti del Ministro dell’Economia, ex art. 2, c. 1, L. 108/96, rappresentano i limiti oltre i quali tutti gli interessi, anche quelli moratori, sono da considerarsi usurari.

Nella pratica le banche ne hanno preso atto, coordinando le clausole sugli interessi di mora al tasso soglia, per evitare che venisse superato.

A questo servono le c.d. clausole di salvaguardia, presenti nei contratti bancari, che impediscono appunto agli interessi la violazione della normativa in materia di usura[30].

L’orientamento dell’Amministrazione

Accanto al consolidamento della giurisprudenza sulla questione degli interessi di mora, è da registrare la prassi contraria del Ministero dell’Economia e della Banca d’Italia, quest’ultima chiamata dagli artt. 2, c. 4, L. 108/96 e 644, c. 3 e 4 c.p. alla individuazione trimestrale del limite oltre il quale gli interessi diventano usurari.

Le “Istruzioni per le rilevazioni dei tassi effettivi globali ai sensi della legge sull’usura” della Banca d’Italia escludono espressamente dal relativo computo “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo” (v. ivi, 2009, § C4).

Uguale precisazione è contenuta nei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, di cui alla nota 3 luglio 2013 della Banca d’Italia, nella quale si legge “i TEG medi rilevati dalla Banca d’Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito. Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento del cliente”.

Sulla stessa linea interpretativa si è posto anche il Ministero dell’Economia, che dal 25 marzo 2011, nell’art. 3, c. 4 dei Decreti Ministeriali trimestrali, espressamente dispone che “i tassi effettivi globali …non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”, non senza aver osservato nelle premesse del decreto che “il provvedimento di rilevazione dei TEG medi, ai sensi dell’art. 108/96 rientra nell’ambito di responsabilità del vertice amministrativo”.

A fronte del contrario orientamento dell’autorità amministrativa, la giurisprudenza ha affermato ripetutamente che le direttive e le Istruzioni della Banca d’Italia, pur avendo natura di norme tecniche autorizzate, non vincolano gli organi giurisdizionali[31] e cioè che non hanno efficacia precettiva nei confronti del giudice, quando accerti il TEG applicato alla singola operazione bancaria, né debbono essere osservate dagli operatori finanziari quando stabiliscono il tasso di interesse di un determinato rapporto; e ciò sia perché le stesse non sono finalizzate a stabilire il TEG (ndr. ma il TEG medio), sia perché non possono derogare alla legge[32].

L’amministrazione, preso atto dell’orientamento assunto dalla giurisprudenza, a decorrere dal citato decreto del MEF del 25 marzo 2011, ha inserito nei decreti trimestrali del MFE la precisazione che, da un’indagine statistica condotta su di un campione di banche nel 2002 dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi, era stata rilevata una maggiorazione contrattuale per i casi di ritardato pagamento, mediamente pari a 2,1 punti percentuali.

Al decreto è seguita un’informazione della Banca d’Italia alle banche ed agli intermediari che, pur in assenza di una previsione legislativa circa la determinazione della soglia per gli interessi di mora, avrebbe aumentato il TEG del 2,1% nei controlli sulle procedure adottate dagli intermediari.

Il confronto con il diritto europeo

La giurisprudenza formatasi in tema di interessi di mora e tasso usurario registra delle incoerenze con il diritto europeo.

Nelle transazioni commerciali la funzione degli interessi di mora è sancita dalla direttiva 2011/7/UE , relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (ndr. attuata con il D. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, modificato dal D. lgs. 9 novembre 2012, n. 192), che nel 28° considerando indica che “la presente direttiva dovrebbe proibire l’abuso della libertà contrattuale a danno del creditore. Di conseguenza, quando una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso di interesse di mora o al risarcimento dei costi di recupero non sia giustificata sulla base delle condizioni concesse al debitore o abbia principalmente l’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, si può ritenere che si configuri un siffatto abuso. A tale riguardo …qualsiasi clausola contrattuale o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe essere dichiarata iniqua per il creditore. In particolare, l’esclusione esplicita del diritto di applicare interessi di mora dovrebbe essere sempre considerata come gravemente iniqua, mentre l’esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero dovrebbe essere presunta tale..”

Benchè riferita alle transazioni commerciali e non alle operazioni bancarie, la distinzione tra dilazioni di pagamento concordate (legittime) e trattenimento di somme dovute al creditore (illegittima), ha rilevanza generale.

La distinzione esprime il principio del diritto europeo della iniquità della rinuncia ad esigere gli interessi moratori al debitore e quindi della loro insostituibile funzione.

Nella disciplina del credito al consumo troviamo una conferma del principio, laddove si escludono gli interessi moratori dal calcolo del TAEG medio (ndr.il TEG nel credito al consumo, simile fatto salvo il conteggio dei bolli) : secondo l’art. 19, c. 2 della Direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito ai consumatori, recepita in Italia col D. lgs. 141/2010, “al fine di calcolare il tasso annuo effettivo globale, si determina il costo totale del credito al consumatore, ad eccezione di eventuali penali che il consumatore sia tenuto a pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti nel contratto di credito (…)[33].

Si tratta di una regola, che, per la supremazia del diritto europeo sul diritto nazionale, è vincolante per l’interprete che si trovi ad affrontare il tema degli interessi moratori, soprattutto nel settore del credito al consumo, anche se si può ragionevolmente affermare che l’esclusione dal computo degli interessi di mora sia una regola generale.

Ed allora secondo i principi del primato del diritto comunitario e della leale cooperazione degli Stati membri, che investono tutta la pubblica amministrazione in senso lato, magistratura compresa, il giudice italiano deve interpretare il diritto nazionale (ndr. l’art. 644 c.p. e l’art. 1, c. 1, d.l. 394/2000) sulla base della regola di diritto europea, applicando il diritto interno di derivazione comunitaria conformemente al diritto europeo, come interpretato dalla Corte di giustizia UE[34], se necessario, discostandosi anche da una prassi interna illegittima[35].

Lo stesso obbligo di leale cooperazione imporrebbe al giudice interno, in caso di dubbio, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ex art. 267 TFUE, al fine di chiarire l’interpretazione del diritto comunitario rilevante per la decisione della controversia pendente[36].

Ad oggi, tuttavia, non pare che la questione sia stata sollevata.

L’orientamento dell’ABF ed il principio della omogeneità

La trattazione del tema si completa dando conto del diverso orientamento assunto dall’ABF, nella sua massima espressione, con la decisione del Collegio di Coordinamento del 28 marzo 2014, n. 1875, decisione contraria ad assoggettare gli interessi di mora alla disciplina antiusura introdotta dalla legge 108/96.

La decisione del collegio prende una posizione affatto originale sulla domanda pregiudiziale se i testi legali consentano di rinvenire un tasso usurario al di fuori ed in alternativa al procedimento introdotto dalla legge 108.

Dalla premessa che la legge 108 non ha stabilito un tasso usurario, ma ha istituito un procedimento per determinare di volta in volta, con cadenza trimestrale, quale sia il tasso usurario in relazione a tipologie predefinite di operazioni di credito ed all’andamento del mercato, il Collegio ha dedotto che la nozione di interesse usurario dipende dall’esito del procedimento e della conseguente rilevanza essenziale delle basi di calcolo, che conducono ad individuarne la misura.

Considerato, dunque, che tra i dati utilizzati dalla Banca d’Italia per la determinazione del TEG medio non ci sono gli interessi di mora e che la determinazione del tasso usurario è l’esito del confronto tra il costo del credito convenuto tra le parti con le stesse voci di costo medio rilevate trimestralmente dalla Banca d’Italia, allora manca la base legale per estendere la disciplina agli interessi di mora, proprio perchè non rilevati nel procedimento amministrativo che individua i tassi soglia.

Secondo il Collegio, tra i due costi del credito, quello convenzionale e quello medio rilevato periodicamente, ci deve essere perfetta simmetria ed omogeneità, sia sotto il profilo della composizione dell’insieme, che sotto quello cronologico : non importano allora né la diversa natura giuridica ed economica degli interessi corrispettivi rispetto ai moratori, né gli argomenti esegetici tratti da testi normativi come l’espressione “a qualsiasi titolo”.

Ciò che conta è se una determinata voce di costo del credito sia computata effettivamente nelle rilevazioni che vengono condotte nel corso del procedimento di identificazione dei tassi soglia oppure no.

Dal principio della perfetta simmetria tra i due termini di confronto, discende l’errore di calcolare nel costo del credito i tassi moratori, che non intervengono nella individuazione dei tassi soglia, così come sarebbe un errore comprendervi le imposte[37].

In tale prospettiva il rimedio potrebbe essere individuato nell’assimilazione degli interessi di mora alla clausola penale. In base a tale ricostruzione l’ABF ha stabilito per i non consumatori la possibile applicazione dell’art. 1384 c.c., che prevede la riducibilità della penale di un ammontare manifestamente eccessivo. Nel caso di contratto concluso con clienti consumatori, andrebbe applicata la disciplina prevista dal codice del consumo, che considera vessatoria, fino a prova contraria, la penale manifestamente eccessiva con conseguente nullità della clausola.

Il problema del c.d. cumulo usurario

Al principio affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 350, secondo cui la verifica del rispetto della soglia d’usura va estesa agli interessi di mora, ne consegue che, ove detto tasso superasse il tasso soglia rilevato all’epoca della pattuizione – e ricorresse, dunque, un’ipotesi di usura originaria – la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla ex art. 1815, c. 2, c.c., con l’effetto che, in caso d’inadempimento, non sarebbero dovuti interessi, oltre ai corrispettivi.

La circostanza che il tasso di mora sia soggetto di parallela ed autonoma verifica rispetto al tasso soglia, non comporta il fenomeno del c.d. cumulo usurario, spesso evocato dalla difesa dei clienti nelle cause contro le banche e cioè la somma del tasso di mora al corrispettivo, per poi confrontare il risultato col tasso soglia.

La strutturale diversità degli interessi corrispettivi e di mora è tale, infatti, da impossibile, sul piano logico-giuridico, l’idea stessa della sommatoria.

È, infatti, evidente che si tratti di entità giuridicamente ed economicamente disomogenee, costituendo i primi la misura della remunerazione del capitale concesso a credito ed i secondi quella del risarcimento del danno, dovuto in caso di inadempimento dell’obbligo restitutorio, come conferma la stessa rubrica dell’art. 1224 c.c. «danni nelle obbligazioni pecuniarie».

Questa diversità ontologica rileva anche per quanto concerne le modalità di consumazione dell’illecito di cui si tratta: nel primo caso, sarà sufficiente la mera pattuizione o promessa di interessi corrispettivi superiori al TEG medio del periodo, “indipendentemente dal momento del loro pagamentoex art. 1, c. 1, d.l. 394/00, mentre altrettanto non potrà dirsi nel secondo, a motivo della loro eventualità ed alternatività applicativa rispetto ai primi.

Per non dire del fatto che la diversità strutturale degli interessi corrispettivi e moratori è incoerente col fondamento logico e statistico della comparazione della sommatoria dei due tassi con il TEG medio rilevato trimestralmente, trattandosi di dati disomogenei, come osservato dalla Banca d’Italia.

La giurisprudenza di merito, chiamata a pronunciarsi, dopo sentenza n. 350 della Cassazione, ha escluso la sommatoria dei due tipi di interesse, l’ha esclusa non ha affrontato specificamente la questione della sommatoria, ma le prime decisioni dei giudici di merito e dell’ABF sono favorevoli alla non cumulabilità dei due tipi di interessi[38].

Da segnalare la decisione del Tribunale di Torino, che ha affermato sia fonte di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. aver sostenuto in giudizio tesi contraddittorie e controproducenti, che ignorano arbitrariamente chiari dati normativi, che segnalano la non cumulabiità di interessi moratori e corrispettivi[39]

Per esse, si potrebbe parlare di cumulo usurario di interesse corrispettivo e di mora soltanto nel caso in cui, in presenza del ritardato pagamento, il conteggio dell’interesse di mora sull’intera rata non pagata di restituzione del prestito, determinasse un conteggio complessivo di interessi che, rapportato alla quota capitale, superasse il tasso soglia[40].

  1. LA NULLITA’ DELLA CONVENZIONE DEGLI INTERESSI USURARI

L’art. 1815, c. 2 c.c., nel testo modificato dalla legge 108/96 stabilisce che «se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi» (comma sostituito dall’art. 4, L. 108/96, con previsione dettata espressamente per il contratto di mutuo, ma ritenuta applicabile alle tipologie contrattuali di credito assimilabili.

Si tratta di una nullità parziale – rilevabile d’ufficio dal giudice – che riguarda la sola clausola degli interessi usurari, senza determinare l’invalidità dell’intero contratto.

La conseguenza della nullità e cioè la non debenza degli interessi, per la sua natura sanzionatoria, che si giustifica all’interno dello specifico sistema di contrasto del fenomeno dell’usura, secondo l’ABF non è suscettibile di applicazione estensiva ad interessi diversi da quelli corrispettivi sino a quando quelli di mora saranno esclusi dalla base di calcolo del TEG medio[41].

Rispetto al testo dell’art. 1815 c.c. del legislatore del 1942, che, in presenza di interessi usurari, li riduceva alla misura legale, l’attuale combinazione della nullità della clausola con la liberazione del mutuatario dall’obbligo di pagare gli interessi e la conseguente trasformazione autoritativa del mutuo feneratizio in gratuito, rappresenta un evidente sbilanciamento dell’equilibrio contrattuale a favore del mutuatario.

La scelta del legislatore impedisce al mutuante di godere del vantaggio usurario e consente al mutuatario di non restituire la somma ricevuta, restituzione dovuta se la nullità investisse l’intero contratto, per effetto dell’applicazione dell’art. 1419, c. 1, c.c.[42]

È certamente la più grave sanzione civilistica prevista dal nostro ordinamento per un contratto, la cui presenza riduce la libertà delle parti nella contrattazione del prezzo, posto che la violazione del tasso soglia esclude addirittura il carattere oneroso del contratto di mutuo.

Vero è che la sanzione civilistica della non debenza degli interessi, esclusa per difetto di previsione (espressa o tacita) la sua retroattività[43], colpisce unicamente il comportamento di chi conclude accordi con cui vengano pattuiti interessi usurari successivamente all’entrata in vigore della legge 108: solo in questo caso il profilo afflittivo e sanzionatorio dell’art. 1815, c. 2, c.c. trova giustificazione, non avendo ragion d’essere punire chi abbia legittimamente convenuto il tasso d’interesse al momento della pattuizione senza violare alcuna norma[44].

Da registrare un filone giurisprudenziale minoritario che ritiene applicabile tout court la sanzione della nullità della clausola usuraria, indipendentemente dal momento della sua stipulazione, anteriore o non all’entrata in vigore della legge 108, con il conseguente obbligo di restituire tutte le somme indebitamente incassate a tale titolo[45].

  1. IL FENOMENO DELL’USURA SOPRAVVENUTA

La legge 108 ha dato origine ad un acceso dibattito, circa le conseguenze della c.d. usurarietà sopravvenuta di tassi d‘interesse, leciti al momento della loro pattuizione.

È una questione sia di diritto intertemporale, quanto alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della disciplina anti-usura, per rapporti contrattuali non ancora esauriti, che di diritto attuale, quanto ai contratti stipulati dopo la legge 108, i cui interessi risultino successivamente superiori al tasso soglia trimestralmente rilevato[46].

Il problema del trattamento dell’usura sopravvenuta non tocca i rapporti esauriti prima dell’entrata in vigore della legge 108[47], con riguardo ai quali la pattuizione di interessi ultralegali è viziata da nullità solo se sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p. nella previgente formulazione, i cui presupposti erano il vantaggio usurario, lo stato di bisogno del soggetto passivo e l’approfittamento di tale stato da parte del prestatore.

La questione riguarda, dunque, i contratti sorti validamente e lecitamente, di talché apparirebbe ingiusto sanzionare prestazioni convenute quando vigeva la libertà contrattuale di determinare il tasso d’interesse, una volta rispettata la forma scritta. Per converso, altrettanto ingiusto sarebbe consentire al mutuante di esigere il pagamento di interessi in misura dalla legge considerata vietata.

Stesso discorso vale per i contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge, i cui interessi si sono rivelati superiori alla soglia anti-usura per effetto dell’oscillazione dei tassi.

Secondo la dottrina e, si vedrà, gran parte della giurisprudenza, la questione si risolve in termini di sopravvenuta inesigibilità parziale della prestazione del pagamento degli interessi, limitata alla porzione d’interessi superiore al tasso soglia[48], nonchè provvisoria, perché, se per ipotesi in futuro il tasso soglia si rialzasse, tornerebbero esigibili gli interessi nella loro interezza.

Il percorso della Giurisprudenza e il d.l. 394/2000

La soluzione del problema dell’usura sopravvenuta non è stata facile e si è trovata alla fine di un lungo percorso, nel corso del quale giurisprudenza e legislatore si sono confrontati a vicenda.

All’indomani dell’approvazione della legge 108 – siamo nel 1997 – si registrò un orientamento milanese favorevole all’applicazione della nuova disciplina ai rapporti sorti anteriormente, ma ancora in corso di esecuzione[49].

Successivamente i giudici di altri uffici hanno ritenuto che la nuova disciplina non si applicasse ai rapporti in corso, stipulati anteriormente, ragionando sulla realità del contratto di mutuo[50]: se, infatti, il contratto si perfeziona con la traditio (o disponibilità giuridica) e l’obbligazione del mutuatario non sorge di volta in volta alla scadenza delle singole rate, ma istantaneamente al momento della consegna del denaro ed il pagamento delle rate costituisce l’esecuzione di obbligazioni sorte prima dell’entrata in vigore della legge 108, sarebbe allora impossibile considerare il contratto affetto da nullità parziale o suscettibile di integrazione per contrasto con la successiva norma imperativa.

Nella pratica, applicando come criteri ermeneutici i principi della conservazione del contratto, della tutela della volontà delle parti e della buona fede – fermo restando che la clausola usuraria non era sanzionata, né invalidata dalla nuova legge – la questione veniva risolta in termini di efficacia del contratto, riducendo la prestazione dovuta dal mutuatario entro i limiti del nuovo tasso consentito.

Nel solco si è inserita la Cassazione, che affermò che «a fronte dell’introduzione nell’ordinamento di norme imperative aventi carattere generale, non si può continuare a dare effetto alle pattuizioni di interessi superiori alla soglia usuraria relativamente a rapporti non ancora esauriti»; «l’inefficacia di queste clausole rappresenta quella forma minima di tutela che deve essere accordata al debitore, quand’anche non si fosse voluto acconsentire alla configurabilità di una nullità parziale sopravvenuta»[51].

La questione del trattamento da riservare ai prestiti contratti prima della legge 108, a tassi divenuti successivamente usurari, divenne scottante nel bienno 1998–1999, quando il ciclo economico positivo, avviatosi nel 1996 ed evidenziato da tassi di interesse in costante diminuzione, combinati a un calo progressivo dell’inflazione, mise in gravi difficoltà i mutuatari che si erano indebitati a tassi fissi prima del 1996[52].

I tassi fissi convenuti prima del 1996, per l’eccezionale caduta del saggio di interesse sui prestiti bancari, erano diventati letteralmente fuori mercato e forte era stata la pressione dell’opinione pubblica sul ceto bancario per la loro rinegoziazione, pressione che tuttavia non aveva avuto successo.

Come sovente accade in Italia, la soluzione della questione del costo dei mutui a tasso fisso (ndr. di cui la questione giuridica ne era la naturale conseguenza) venne trovata dai giudici della Cassazione, che, nel corso dell’anno 2000, riprendendo l’orientamento assunto dai giudici milanesi all’indomani dell’entrata in vigore della legge 108, ritennero applicabile la nuova disciplina ai rapporti pendenti con tre decisioni conformi: le nn. 1126 e 5285 e, soprattutto, la sentenza 17 novembre 2000, n. 14899.

Le sentenze allarmarono le banche ed ebbero grande risalto nella stampa, meritando l’attenzione della migliore letteratura giuridica[53].

In particolare, la sentenza n. 14899 stabilì i principi guida fondamentali per l’applicazione della legge 108, ovverosia che:

  • la legge 108 era di immediata applicazione ai rapporti inerenti ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, limitatamente alla regolamentazione degli effetti ancora in corso,
  • il giudice poteva e doveva rilevare d’ufficio la nullità della clausola relativa agli interessi, convenuti prima della nuova disciplina, ma diventati usurari per effetto della sua applicazione,
  • l’ampia dizione degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c. consente non solo la sostituzione automatica delle clausole con altre volute dall’ordinamento (ndr. soluzione preferita dai giudici di legittimità per armonizzare l’autonomia privata all’imperatività della norma), ma anche la semplice eliminazione di clausole nulle senza alcuna sostituzione,
  • la legge equipara i tassi corrispettivi ai moratori.

Interessante è la motivazione di diritto sostanziale data dalla Cassazione circa il debito degli interessi, che ribaltava la giurisprudenza sulla realità del mutuo: se l’obbligazione di pagamento degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione, ma si concretizza in una serie di prestazioni successive, ancora da eseguire, allora per determinare il carattere usurario degli interessi, rileva il momento del pagamento degli e non quello iniziale della pattuizione.

Tale fu l’allarme delle banche e delle autorità creditizie circa i possibili effetti negativi delle decisioni dei giudici sui conti delle prime e sulla stabilità del sistema creditizio nazionale[54], che nell’arco di un mese il Governo emise il d.l. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv. L. 28 febbraio 2001, n. 24), motivando le ragioni della straordinaria necessità ed urgenza, con la necessità di gestire gli effetti della sentenza della Cassazione.

In questo contesto il d.l. 394, d’interpretazione autentica della l. 108, aderendo alla tesi sostenuta sin dall’inizio dall’ABI, ha stabilito che «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 cod. pen e dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento» (art. 1, c. 1, d.l. cit.).

Oltre a risolvere la questione di diritto transitorio, l’intervento del legislatore ha avuto il merito di chiarire che l’usura sopravvenuta non riguarda l’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, c. 2 c.c.[55]

Superato positivamente il vaglio di costituzionalità[56], la giurisprudenza immediatamente successiva, preso atto della sua retroattività ed applicazione alle controversie pendenti[57], si è adeguata, con la conseguente disapplicazione della legge 108 ai contratti stipulati anteriormente alla sua emanazione[58]e, in particolare, delle soglie anti-usura agli interessi[59], con l’ulteriore corollario della penale irrilevanza degli interessi usurari[60].

Chiamata ad intervenire su quattro questioni di legittimità costituzionale della norma in commento, la Corte Costituzionale ha ritenuto il d.l. compatibile con la ratio della legge 108 e coerente con il generale principio di ragionevolezza[61].

La giurisprudenza non ha, tuttavia, smesso di occuparsi dell’usura sopravvenuta, per rispondere ad una domanda di giustizia non diminuita dall’interpretazione autentica, evidenziando una chiara insofferenza per l’intervento del d.l. 394, non foss’altro per la sua incoerenza con l’art. 644 ter c.p., che, nel disciplinare la decorrenza della prescrizione del reato di usura, identifica il momento consumativo nell’ultima riscossione degli interessi e del capitale (e non nel momento della pattuizione).

Pur nella loro diversità, gli orientamenti dei giudici di merito, ferma l’inapplicabilità dell’art. 1815, c. 2, c.c. agli interessi diventati usurari dopo la stipulazione del contratto di mutuo, hanno offerto varie soluzioni al problema della sopravvenuta usurarietà:

  • in termini di nullità sopravvenuta della clausola per la parte che supera il c.d. tasso soglia, sicchè in relazione a tali somme il creditore non avrà il diritto di ottenere il pagamento di interessi divenuti usurari[62], con la sostituzione della clausola nulla ex art. 1419, c. 2, con il tasso soglia che si inserisce nel rapporto negoziale in luogo del tasso negoziale ex art. 1339 c.c.[63] ,
  • in termini di inefficacia ex nunc delle clausole divenute usurarie, stante l’irretroattività delle norme anti-usura, con la precisazione che il vizio sarebbe rilevabile solo su istanza di parte[64] o d’ufficio da parte del giudice[65],
  • applicando automaticamente[66], senza pronunciarsi sulla questione della validità o efficacia della clausola, la minore sanzione della riduzione dei tassi eccedenti il tasso soglia, rispetto alla ben più grave della non debenza di alcun interesse[67].

L’incertezza del diritto: le sentenze della Cassazione nn. 602 e 603/2013 e la decisione n. 77/2014 del collegio di coordinamento dell’ABF

All’insofferenza dei giudici è succeduta l’indifferenza, con la sostanziale disapplicazione pretoria della legge d’interpretazione autentica. Un caso da manuale di giurisprudenza abrogativa di una legge.

La giurisprudenza di merito ha dato col tempo un’applicazione ridotta dell’art. 1, c. 1, d.l. 394: non la sanatoria generalizzata delle clausole sugli interessi stipulate prima dell’entrata in vigore della legge 108, nonostante abbiano successivamente maturato interessi superiori al tasso soglia, ma la disapplicazione ai contratti ante 1 aprile 1997 (ndr. data della prima rilevazione dei tassi usurari) delle sanzioni civili e penali introdotte dalla nuova disciplina[68].

Non solo, nel gennaio 2013, tre decisioni della Cassazione riammettono l’usura sopravvenuta, senza motivare e senza dare atto di rompere un orientamento consolidatosi dopo la norma di interpretazione autentica: si tratta della citata sentenza n. 350 e delle sentenze 602 e 603 del giorno 11 gennaio 2013, che stabiliscono la rilevanza dei tassi soglia anche con riferimento a rapporti non ancora esauriti e nati da contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge 108, con l’automatica sostituzione dei tassi diventati usurari con il tasso soglia ai sensi degli artt. 1419, c. 2 e 1339 c.c.

Sul punto, secondo la Cassazione:

(dalla motivazione) «..giurisprudenza ormai consolidata (da ultimo, Cass. n. 25182/2010) precisa che, con riferimento a fattispecie anteriore…alla legge 108/96, in mancanza di una previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purchè ciò avvenga in forma scritta; l’illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario, stato di bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell’autore del reato.

Valide dunque le predette clausole contrattuali, è esclusa l’automatica sostituzione del tasso originariamente determinato con quello legale, come invece disposto dal giudice del rinvio.

Al contrario, come sembra suggerire lo stesso ricorrente principale, trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della legge 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato l’art. 1 legge 108/96, che ha previsto la fissazione di tassi soglia (…); al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324/2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, c. 2 e 1339 c.c., circa l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia».

L’indirizzo del giudice di legittimità è stato seguito dai giudici di merito, che hanno affermato che le clausole relative agli interessi dei contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della legge 108, pur valide, diventano illegittime negli effetti, generandosi per l’effetto un fenomeno di sostituzione automatica del saggio c.d. soglia, in luogo del maggiore interesse contrattuale, limitatamente alla parte del rapporto non ancora esaurita[69].

Sulla questione è intervenuto infine anche il Collegio di coordinamento dell’ABF con la decisione n. 77 del 10 gennaio 2014, che si è posto in contrasto con l’orientamento della Cassazione: il Collegio ha ritenuto – infatti – che il superamento della soglia nel corso del rapporto non determini di per sé l’illiceità della clausola ratione temporis, né quindi l’illiceità della pretesa di pagamento degli interessi.

Per ammettere l’usura sopravvenuta si dovrebbe ammettere l’irragionevolezza della legge d’interpretazione autentica, caricando su di una sola parte contrattuale, il prestatore del denaro, il rischio della crescita dei tassi (c.d. periculum sortis), al quale sono esposti i finanziamenti a tasso fisso.

Applicando, come indica la Cassazione il rimedio civilistico della nullità parziale, di cui all’art. 1419 c.c., secondo l’ABF si frantumerebbe l’equilibrio contrattuale, esponendo il prestatore al rischio di tassi crescenti senza il vantaggio di poter approfittare dei tassi decrescenti, così disincentivando la stipulazione dei finanziamenti poliennali a tasso fisso, graditi alle categorie sociali più ampie e bisognose.

antoniodonvito@studiolegaledonvito.it

[1] Trib. Monza, 4 novembre 2005, cit. in L. NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, in GITTI-MAUGERI-NOTARI (a cura di), I contratti per l’impresa, Bologna, 2012, II, 32, nota. 38.

[2] Art. 1448, c. 1 c.c.. Azione generale di rescissione per lesione: se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto.

[3] Prima della legge 108 la vicenda dei c.d. mutui in ecu aveva rappresentato all’opinione pubblica ed all’attenzione degli studiosi, l’inadeguatezza della disciplina civilistica a far fronte a repentini e rilevanti aumenti degli interessi applicati ai prestiti. A cavallo degli anni 1986–1991 si era registrata una rilevante richiesta di finanziamenti indicizzati all’ecu, nella convinzione di mutuatari e banche che detto parametro, molto inferiore rispetto al corrispondente in lire, fosse più conveniente e stabile nel tempo. La situazione si capovolse a seguito della decisione italiana del settembre 1992 di sospendere l’adesione della lira allo SME. La conseguente fluttuazione della nostra divisa determinò un considerevole aumento degli interessi a carico dei mutuatari ed alimentò un aspro contenzioso con le banche. I rimedi proposti in via giudiziaria dai clienti, quali la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., ovvero, la riduzione della prestazione ex art. 1468 c.c., la condanna della banca al pagamento dell’indennizzo dovuto ai sensi dell’art. 2041 c.c., nell’assunto di un suo arricchimento senza causa o, ancora, la domanda di risarcimento del danno nei confronti della banca per violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, non vennero accolti dai giudici di merito, che si orientarono sfavorevolmente verso i mutuatari, considerando aleatori i contratti di mutuo indicizzati in valuta; per una rassegna sulla questione e sugli orientamenti contrapposti, cfr. M.C. TATARANO, “La «rinegoziazione»nei finanziamenti bancari”, Napoli, 2003, 67-72.

[4] La legge 108/96 è in vigore a tutti gli effetti dal 3 aprile 1997.

[5] Per una sintetica storia della disciplina dell’usura, rimando a D. MANZIONE, L’usura, Milano, 2013, II ed., 1- 22; interessante per gli aspetti morali e teologici dell’usura, P. VISMARA, Oltre l’usura. La chiesa moderna e il prestito ad interesse, Soveria Mannelli (CZ), 2004.

[6] FIANDACA – MUSCO, Diritto penale Parte speciale, I delitti contro il patrimonio, Vol. II, tomo 2°, Bologna, 2007, 5ªed., 220.

[7] La pena base del reato di usura è la reclusione da due a dieci anni con la multa da euro 5.000 a euro 30.000. Per una indagine statistica sull’usura sino al 2007 v. www.camera.it/_bicamerali/leg15/commbicantimafia/…/schedabase.asp?

[8] Un esempio tipico portato dai manuali di prestazione usuraia di un servizio è quella del chirurgo, che per operare, chiede un compenso elevatissimo.

[9] Sull’errore nel delitto di usura, v. D. MANZIONE, op. cit., 42–44.

[10] FIANDACA–MUSCO, op. cit., 230.

[11] Ndr. In questo incontro si tratterà dell’usura c.d. pecuniaria, il reato che si realizza quando qualcuno si fa dare o promettere interessi in corrispettivo di una prestazione di denaro e non dell’usura c.d. reale, dove la contropartita sono i c.d. vantaggi usurari.

[12] Si perde, quindi, la rilevanza dello stato di bisogno del mutuatario e dell’approfittamento del mutuante, al contrario di quanto riteneva la giurisprudenza precedente alla legge 108 (Cass. 29 agosto 1993, n. 9021; Cass. 16 novembre 1979, n. 5956).

[13] Le operazioni di finanziamento sono classificate annualmente per categorie omogenee dal Ministero dell’Economia, previa acquisizione del parere tecnico, non vincolante, della Banca d’Italia, il quale provvede trimestralmente alla rilevazione dei tassi.

[14] L’aumento del quarto sul tasso medio, rispetto al precedente aumento della metà, più quattro punti percentuali, è stato introdotto dall’art. 8, c. 5, lett. d), d.l. 13 maggio 2011, n. 70, conv. in l. 12 luglio 2011, n. 106, che ha novellato l’art. 2, c. 4, L. 108/96 ed è in vigore dal 14 maggio 2011.

[15] L’art. 644, c. 3, c.p. prevede altre ipotesi in cui, pur essendo gli interessi inferiori al tasso soglia, si può concretare il reato di usura: “sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi, si trova in difficoltà economica o finanziaria”.

[16] Cass., 18 marzo 2003, n. 20148; Id., 19 febbraio 2010, n. 12028.

[17] Cass,, sez. II pen., 23 novembre 2011, n. 46669; Id. 14 maggio 2010, n. 28743; Id. 18 marzo 2003, n. 20148.

[18] Cass. sez. II, pen. n. 46669/2011 cit.

[19] Cass. n. 20148/2003 cit.

[20] SCIARRONE ALIBRANDI – MUCCIARONE, Le pluralità di serie normative di jus variandi nel T.u.b.: sistema e fratture, in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato, Milano, 2012.

[21] Banca d’Italia, Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, agosto 2009; Banca d’Italia, Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura, 3 luglio 2013; per una rassegna di quesiti in tema di rilevazione dei TEG, cfr. www.bancaditalia.it/vigilanza/contrasto_usura/Normativa/istr_usurafaq.pdf

[22] App. Milano. 22 agosto 2013, in Foro It., 2014, I, 128 e segg.; conforme Trib. Busto Arsizio, 12 marzo 2013, ibidem, Trib. Alba, 18 dicembre 2010, in Giur. It., 2011, 860, n. COTTINO, Non tutta l’usura ha matrici criminali.

[23] ABF Roma, 26 luglio 2013, n. 4183, in Foro It., cit. Da segnalare che la Banca d’Italia sino al 10 marzo 2011 consentiva alle banche ed agli intermediari di escludere le spese assicurative dal calsolo dell’ISC (indicatore sintetico di costo) e del TAEG.

[25] Trib. Pordenone, 7 marzo 2012, Trib. Taranto, 28 giugno 2012, Trib. Roma, 23 gennaio 2014, tutti in www.ilcaso.it; Trib. Vicenza, 25 marzo 2013, in banca dati Utet Platinum. Per una trattazione completa, v. INZITARI-DAGNA, Commissioni e spese nei contratti bancari, in B. INZITARI (a cura di), Il diritto degli affari, Padova, 2010. Il Trib. Verona, 19 novembre 2011, in Corr. Merito, 2013, 146, ha distinto il trattamento delle commissioni di massimo scoperto, comprendendole nel computo solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.l. 185/2008, ed escludendole per il periodo precedente.

[26] La natura di clausola penale degli interessi di mora è generalmente riconosciuta, v. Cass. 21 giugno 2001, n. 8481.

[27] Cass. Sez. Un. 13 settembre 2005, n. 18128; Cass. 24 settembre 1999, n. 10511.

[28] Cass. 7 aprile 1992, n. 4251, in Vita not., 1992, 1137.

[29] Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, in BBTC, 2013, II, 498, n. DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali; Cass. 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603; Cass. 4 aprile 2003, n. 5324; Cass. 22 aprile 2000, n. 5286; App. Venezia, 18 febbraio 2013, n. 342, in www.ilcaso.it; altre danno per presupposto il computo degli interessi di mora nel calcolo usurario, come Cass. 22 aprile 2010, n. 9532 e Cass. 13 maggio 2010, n. 11632, incentrate sulla questione di diritto transitorio dell’applicabilità della legge 108 a contratti stipulati prima del 1996. In dottrina, cfr. M. TATARANO, Il mutuo bancario tra sistema e prassi, Napoli, 2012, 78; L. NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, op. cit., 30 per la ricostruzione del dibattito relativo all’applicabilità della normativa in materia di usura agli interessi moratori. Isolata è rimasta la posizione di chi riteneva che la disciplina anti usura non si applicasse agli interessi di mora, v. Trib. Firenze, 20 settembre 2000, in Gius, 2001, 517.

[30] Cfr. Trib. Napoli (decr.), 9 gennaio 2014, in www.ilcaso.it, che ha giudicato un caso in cui il contratto di mutuo conteneva una clausola di salvaguardia che prevedeva che “la misura degli interessi non potrà mai essere superiore al limite fissato dall’art. 2, c. 4, L. 108/96, dovendosi intendere in caso di teorico superamento di detto limite, che la loro misura sia pari al limite medesimo”.

[31] App. Milano, 22 agosto 2013, in www.ilcaso.it.

[32] App. Torino, 20 dicembre 2013, in www.ilcaso.it.

[33] In termini analoghi si esprime l’art. 4, n. 13) della proposta di direttiva del parlamento europeo e del Consiglio UE in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali (COM.2011/142), approvata dal parlamento europeo del 10 settembre 2013, che espressamente esclude dal calcolo del credito «eventuali penali pagabili dal consumatore per la mancata esecuzione degli obblighi stabiliti nel contratto di credito». La questione della compatibilità della giurisprudenza sugli interessi di mora è stata sollevata dall’ABF, Roma nella seduta 29 novembre 2013, che ha rimesso al collegio di coordinamento la soggezione alla disciplina anti-usura degli interessi di mora.

[34] cfr., ex multis, Corte Giust,UE 13 novembre 1990, causa C- 106/89, Marleasing, in Racc. I, 4135, punto 8; ID., 10 aprile 984, causa C-14/03, Von Colson, ivi, 1891; 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C- 403/ 01, Pfeiffer, ivi I-8835. Per un inquadramento generale sull’argomento, in dottrina: ADAM-TIZZANO, Lineamenti di Diritto dell’Unione Europea, Torino, 2010, 157 ss.; DANIELE, Diritto dell’Unione Europea, Milano, 2010, 245 ss.; DRAETTA, Elementi di diritto dell’Unione europea, Milano, 2009, 292 ss.; TESAURO, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2010,194 ss.

[35] Costante affermazione, nella giurisprudenza comunitaria più recente, cfr. Corte Giust.UE, 5 marzo 1998, in causa C- 347/96, Solred, in Racc., 1998, p. I-937, punto 30; 8 giugno 2000, in causa C-258/98, Carra, in Racc., 2000, p. I-4217, punto 16.

[36] Sull’obbligo di rinvio, in caso di dubbio interpretativo circa la sussistenza di un aiuto di stato, v. Corte Giust. UE, 5 ottobre 2006, in causa C- 368/04, Transalpine Öilletung, in Racc., 2006, p. I-9957, punti 37 ss.

[37] ABF Collegio di coordinamento, 28 marzo 2014, n. 1875 a seguito di rimessione da parte di ABF, Roma, 29 novembre 2012, in www.arbitrobancariofinanziario.it

[38] Trib. Padova, 27 gennaio 2015; Trib. Milano, 3 dicembre 2014; Trib. Cremona, 30 ottobre 2014; Trib. Venezia, 15 ottobre 2014, n. 2163; Trib. Roma, 16 settembre 2014; Trib. Scacca, 13 agosto 2014; Trib. Verona, 27 aprile 2014; Trib. Treviso, 11 aprile 2014, tutti in www.ilcaso.it, sez. dir. bancario, 2014; Trib. Milano (ord.), 28 gennaio 2014 e Trib. Napoli (ord.), 28 gennaio 2014, in PLUS24-Il Sole 24 Ore, n. 602, 1 marzo 2014. Il secondo problema interpretativo, aderendo all’impostazione data dal Tribunale di Milano, attiene alle conseguenze della nullità sancita dall’art. 1815, comma 2, c.c., ovvero se alla nullità della clausola relativa agli interessi di mora consegua o meno la debenza degli interessi corrispettivi. Per il Tribunale di Milano (anche in www.dirittobancario.it), laddove fossero stati pattuiti interessi di mora superiori al tasso soglia, la sanzione della nullità investirebbe soltanto questa pattuizione, con la conseguenza che, in caso di ritardo o di inadempimento, “non potrebbero essere applicati interessi di mora, ma sarebbero unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi (ove pattuiti nel rispetto del tasso soglia)”. Per l’orientamento assunto dall’ABF, v. ABF, Napoli, n. 5877/2013, che ha ritenuto che, al fine di accertare se il limite sia stato superato, il tasso convenzionale degli interessi di mora non deve essere sommato a quello degli interessi corrispettivi, se il contratto prevede che gli uni siano sostitutivi degli altri.

[39] Trib. Torino, 17 settembre 2014, in www.ilcaso.it

[40] Il decorso degli interessi di mora sostituisce quello degli interessi corrispettivi soltanto a partire dal giorno in cui il mutuante dichiari la decadenza dal beneficio del termine o la risoluzione del contratto per l’inadempimento del mutuatario: a decorrere da questo momento il mutuatario sarà debitore dei soli interessi di mora sulla quota capitale ancora dovuta (Cass. Sez. Un. 19 maggio 2008, n. 12639), mentre quelli di mora si applicheranno alle rate scadute e non pagate, comprensive di quelli corrispettivi (Cass. Sez. Un. cit., Cass. 25 settembre 2013, n. 21885; Trib. Monza 30 novembre 2012, www.ilcaso.it, 2013; Trib. Milano, 24 aprile 2012, www.ilcaso.it.). Si tratta tuttavia di giurisprudenza formatasi sotto il vigore dell’art. 120, c. 2 TUB nel testo precedente al 31 dicembre 2013 e della delibera CICR 9 febbraio 2000, che all’art. 3, c. 2, consentiva in caso di inadempimento del debitore la produzione di interessi di mora sulla rata di un finanziamento scaduta. Si tratta ora di verificare come si orienterà la giurisprudenza dopo il rinnovato divieto della pratica degli interessi sugli interessi del novellato comma 2 dell’art. 120 TUB, modificato dalla legge di stabilità 27 dicembre 2013, n. 147.

[41] Secondo l’ABF, Collegio di coordinamento 28 marzo 2014, n. 1875, la sanzione di cui all’art. 1815, c. 2, c.c. non si applica agli interessi di mora, per la sua natura sanzionatoria non suscettibile di applicazione analogica.

[42] L. NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, op. cit., 32.

[43] Il principio generale di irretroattività della legge sancito dall’art. 11, c.1, disp. legge in gen., può essere derogato solo in presenza di una espressa previsione in tal senso ovvero per effetto della naturale retroattività delle norme di interpretazione autentica. Sulla nozione di retroattività della legge, v. R. CAPONI, La nozione di retroattività della legge, in Giur. cost., 1990, 1332.

[44] A. QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, in BBTC, 2013, II, 495 e M.C. TATARANO, La «rinegoziazione» nei finanziamenti bancari, Napoli, 2003, 75-76.

[45] App. Venezia, 18 febbraio 2013, n. 342, in www.ilcaso.it.; Trib. Padova, 10 agosto 2001, in Giur. merito, 2001, I, 715.

[46] Ciò è dovuto per la variabilità del tasso soglia, che non è fisso, ma in costante movimento: per esso il legislatore non ha previsto il meccanismo dedicato al saggio degli interessi legali, che può essere modificato annualmente con decreto del Ministro dell’Economia sulla base del rendimento medio annuale dei titoli di stato, ai sensi dell’art. 1284, c. 1, c.c.

[47] Cass. 4 aprile 2003, n. 5324; 25 gennaio 2011, n. 1748.

[48] L. NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, op. cit., 34;

[49] Trib. Milano, 13 novembre 1997, in BBTC, 1998, II, 501.

[50] Trib. Firenze, 10 giugno 1998, Roma, 4 giugno 1998, in Corr. Giur., 1998, 805 e segg., n. G. GIOIA, L’impatto della nuova normativa; Trib. Velletri, 3 dicembre 1997 e 30 aprile 1998, in Foro It., 1998, I, n. 1, 1607.

[51] Cass. 22 aprile 2000, n. 5286, in Giur. It., 2001, 311.

[52] Per dare qualche numero significativo dello stato dell’economia italiana negli anni 1998 – 1999, basti pensare che la Banca d’Italia ridusse tre volte il tasso ufficiale di sconto nel 1997 ed una volta nel 1998; che i tassi dei prestiti bancari subirono una contrazione nel 1998 del 3% rispetto a quelli del 1996, che nel 1999 lo spread dei titoli di stato italiani rispetto a quelli tedeschi era di 76 punti, cfr. Studi Economici OCSE 1998 – 1999.

[53] Cass. 2 febbraio 2000, n. 1126, Cass. 22 aprile 2000, n. 5286, Cass. 17 novembre 2000, n. 14899, in Giur. It. 2001, 311, n. E. SPANO, Tassi usurari, mutui a tasso fisso, contratto aleatorio e riflessi sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti; ibidem, 2000, 678, n. G. TUCCI, Usura e autonomia privata nella giurisprudenza della Corte di cassazione; in Foro It., 2000, I, n. A. PALMIERI, Tassi usurari e introduzione della soglia variabile: ancora una risposta interlocutoria; ibidem, 2000, I, 919, n. E. SCODITTI, Mutui a tasso fisso: inserzione automatica di clausole o integrazione giudiziale del contratto?; in BBTC, 2000, II, 620, n. A.A. DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege 108/96. Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano, 28 giugno 2000, in BBTC, 2001, II, 110, n. M. GIUSTI, Note in tema di sequestro liberatorio ed usurarietà sopravvenuta del tasso d’interesse; App. Milano, 30 gennaio 2011, in BBTC, 2001, II, 446.

[54] Tra gli argomenti che sollevarono le banche per sollecitare l’intervento del Governo uno dei più fondati fu la paventata impossibilità di garantire la remuneratività delle operazioni di cartolarizzazione agli investitori stranieri nel caso di riduzione dei tassi d’interessi rispetto a quelli convenuti contrattualmente e considerati nel confezionamento di dette operazioni, con il conseguente crollo del rating delle banche, che avevano garantito detta remuneratività.

[55] M.C. TATARANO, op. cit., 76.

[56] Corte Cost. 25 febbraio 2002, n. 29.

[57] App. Roma, 13 settembre 2001, in Giur. romana, 2002, 8 a conferma del Trib. Roma, 13 settembre 2001, in Contratti, 2002, 76; sull’efficacia della legge nel tempo, cfr. R. CAPONI, La nozione di retroattività della legge, in Giur. cost., 1990, 1332. Molto critica è stata la dottrina sull’intervento legislativo, v. A.A. DOLMETTA, D.L. 394/00: il Governo invade la giurisdizione e salva l’«interesse» delle banche, in Dir. e giust., 2001, 8; G.OPPO, La legge «finta», in Riv. dir. civ., 2001, II, 483; A. RICCIO, Usurarietà sopravvenuta nei mutui, in Contr. e impr., 2001, 60.

[58] Cass. 26 giugno 2001, n. 8742, in Giust. civ., 2002, I, 126; Cass. 4 aprile 2003, n. 5324; Cass. 17 luglio 2008, n. 19698; Cass. 3 aprile 2009, n. 8138; Cass. 10 ottobre 2007, n. 21265; Cass. 13 maggio 2010, n. 11632; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25182; App. Napoli, 1 ottobre 2010, in Dir. Fall., 2011, II, 237, n. G. FASCIANO, l’inapplicabilità della disciplina anti-usura di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108 ai contratti di mutuo stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore; Trib. Nuoro, 10 marzo 2008, in BBTC, 2008, II, 576, n. C.M. TARDIVO, Brevi note in tema di interessi anatocistici e usurari nel finanziamento fondiario.

[59] Cass. 13 dicembre 2002, n. 17813.

[60] F. CAMERANO, L’usurarietà sopravvenuta, in Contratto e impresa, 2003, 1071 e A. MANNA, Decreto sui mutui: primo significativo indebolimento della tutela contro l’usura?, in Dir. pen e proc., 2001, 546.

[61] Corte cost. 14 febbraio 2002, n. 29, in Giust. civ., 2002, I, 869 e in Foro It., 2002, I, 933, n. A. PALMIERI, Interessi usurari: una nuova partenza.

[62] Trib. Reggio Calabria, 18 febbraio 2003, in Giur. merito, 2003, 1726;

[63] Trib. Monza, 22 aprile 2003, in Notariato, 2003, 237; App. Milano, 6 marzo 2002, in Contratti, 2002, 714; Trib. Benevento, 5 maggio 2009, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it.

[64] Trib. Cagliari, 6 aprile 2009. In Riv. giur.sarda, 2009, 747; Trib. Bologna, 9 giugno 2008, cit. in L. NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, op. cit., 40.

[65] Trib. Cagliari, 17 febbraio 1986, in Riv. giur.sarda, 2006, 113.

[66] Trib. Campobasso, 3 ottobre 2000, , cit. in L. NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, op. cit., 41.

[67] Trib. Salerno, 19 marzo 2009, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 65.

[68] Trib. Monza, 22 aprile 2003, cit.; Trib. Milano, 15 ottobre 2005, n. 11119, in Giust. a Milano, 2005, 75.

[69] Trib. Lecce, 2 dicembre 2013, in www.ilcaso.it.

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